*
Annunciazione
Il tramonto
sembra avere più fretta,
come le cose raccontate
da chi ha poco tempo:
sarà perfetto ascoltare
le nubi in lotta,
mentre l’aria intorno raffresca.
Un tempo la mia vita intercettava
moti che annunciavano tempesta;
ora mi sciolgo a ombre non mie,
rassereno anche se fuori piove.
È giunta l’ora di guardare altrove:
al panorama sconfinato,
dove nessuna estate langue.
Che arrivi, dunque, la bufera,
gli alberi si scuotano nel vento;
non c’è nessun angelo a bussare,
solo le prime foglie gialle.
Ti accompagno,
ma non posso entrare.
*
Raccontami dei vivi
Raccontami dei vivi e potrai fermarti
nel mettere male il piede
alla conquista della memoria,
una strada di montagna
dove è impossibile tornare indietro.
Sai che non ho paura?
In quelle case abbandonate
che il tuo sguardo spalanca
non vi abita più alcun fantasma.
*
Nave in fiamme
Non è vero che resta la parola
tatuata sul bicipite infiacchito;
la polena non irride più le onde
e il vascello
dal nome che ci tiene uniti
chissà dove fa rotta adesso.
Se dico che ogni cosa
qua s’incaglia,
che basta poco perché scuffi,
o batta in testa,
sarei ingrato.
Che strano modo di lasciare gli altri:
io metto anelli, perdo foglie,
frinisco a ogni stagione.
*
Le case chiuse
Credo nel lichene
e ho fiducia nella gazza.
Davanti a questa porta
ritrovo l’algebra indigesta
prima della riparazione –
ma non sono nei miei pensieri
e neppure altrove.
Il silenzio
ha l’odore delle case in cui il tempo si rifugia
per figliare giorni
che non verranno celebrati
sui calendari,
né baceranno santi.
Ci sono i boschi, i mucchi d’erba tagliata
e gli affari di famiglia lasciati a fermentare
in un angolo di eterno.
A ciascuno il proprio dio.
Il sole infilza la soffitta
la polvere che filtra.
L’avanzo di divano
è una culla di ricordi e scarafaggi.
Con le foglie impigliate tra i capelli
conquistiamo la cantina, scricchiolando
di gradino in gradino.
Ormai è certo:
l’abbraccio di vitalba non riscalda
e la memoria ancora in piedi nella stanza
appartiene a un arredo non più mio.
*
Animali vivi
È in questi edifici
dove sotto si lavora e sopra
gli uffici ne contano le ore,
è qua che dobbiamo stare.
Non sei felice
nel mattino di questa fetta d’aria.
Il tempo sperde
le mie briciole familiari –
neppure i piccioni gradiscono i ricordi
lasciati ai bordi delle strade
ad agonizzare
come animali vivi.
*
Andrea Tuccini, Le case chiuse, prefazione di Daniela Marcheschi, peQuod, 2025

Andrea Tuccini è nato a Castelfranco di Sotto (Pisa) nel 1966, vive a Montopoli in Val d’Arno (Pisa). Biologo di formazione, alla ricerca biochimica presso l’Università di Pisa e alla Scuola Superiore Sant’Anna, ha affiancato un’intensa attività di scrittura di poesie e canzoni. Nel 1996 ha vinto il “Premio Grinzane Cavour” per il miglior testo all’interno del concorso “Grinzane Musica! Scrivi la tua canzone” (direttore di giuria Fabrizio De André). Le case chiuse è il suo libro d’esordio (peQuod, 2025, con la prefazione di Daniela Marcheschi).
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