*
Ora che t’ho visto fiorita in sogno col sambuco,
pago volentieri la mia quota d’indifferenza;
torno pacificato alla vita nel bozzolo
mentre la città che mi volle sommerso invecchia
come il pane della festa. C’è affinità tra me
e le cose nascoste: chi ride osceno per la pioggia
ha la stessa imperfetta devozione all’ombra. —
Ma ora che so di appartenerti, pure quest’alba
si fa santa nell’immagine di te.
*
Solo al buio saprò dirti chi sono,
la bocca inerte in questa luce.
Dalle finestre avvampa un coro
negro. Traduce in qualcos’altro le mie voglie –
in qualcosa di lento, di feroce,
che le mie poche foglie
ammutolisce –
e come un dardo scocca fuori
il mio pensiero
– solo sì, come solo Dio può dirsi –
in dono a mani esperte della notte,
a mani vecchie e nuove assieme…
tra scogli e lingue e lame e forme rotte,
o nella tana del leopardo
– lì dove mai si dorme per la fame
scoprirai chi sono.
*
Verrà il tempo,
il cerchio esatto in cui ti attendo;
e con le voci delle cose incompiute
attorno, t’accorgerai
che l’invisibile è già nostro,
ch’è giusto un attimo più avanti.
«Salterai?»
Il corpo ha finalmente
dichiarato il suo ritiro. Un attimo,
il tempo, il tempo di saltare.
*
«Tutto cambia. Nulla è cambiato
— sii sempre insoddisfatto. Qui
obbligato a erigere il nuovo
sulle macerie di ciò che lo è stato,
intuisci la malia che fa denso il vuoto?
E la complicità dei poli, il patto
tra le voci che muoiono distanti?»
Tutto cambia. Nulla è cambiato
– solo il tuo vago aspetto.
Vorrei spendermi
in qualche assurda guerra dello spirito,
rinfrescarmi al pensiero di un porto
verso cui dirigere il mio vascello
in rotta con le ragioni del mondo.
Che non ci sia altro da esplorare
è l’idea che muove al metafisico.
O meglio, è la paura.
*
Vieni,
avrai un sorriso stanco alla parete.
Dileguàti gli uccelli nelle forre,
non suonano più scarpe al Gradenigo
se dici «accoglimi», la loro lingua
è mistificazione del mondo, archibugio.
Così sei stato, per gli dèi dell’ozio,
un amante impossibile – lucerna
che la terra chiama a mentire,
farsi grande alla finestra.
Così falliscono anche i versi,
ed ogni cosa – per sempre ferma e distante
– come quest’aria non ha voce.
*
Sergio Bertolino, La sete, nota di Antonio Bux, Marco Saya Edizioni, 2020

Sergio Bertolino è nato a Reggio Calabria nel 1984 e vive a Torino. Laureato in Filologia moderna presso l’Università degli Studi di Torino, è docente di Lettere, cantautore, co-fondatore e co-direttore della rivista di poesia «Avamposto». Ha pubblicato i libri di poesia Chiave di volta (Nulla Die, 2018) e La sete (Marco Saya Edizioni, 2020), Premio Umbertide XXV Aprile 2022 e menzione d’onore al Premio Lorenzo Montano 2021. Suoi testi sono apparsi su antologie, riviste e blog letterari.
Scopri di più da larosainpiu
Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

