*

Il cuore affranto 
è la certezza che il giallo 
di quella primavera da ragazza 
aveva un senso solamente nel corpo.
Faceva l’alba e credevi
che il giorno sarebbe più lungo
più avventuroso. (L’orizzonte
più ignoto.) Sceglievi
tra il piano assolato e l’ombra
in anfratto riposto, privato.
Ma un’estate finisce.
Tutte le estati fanno un’estate sola
e il senso è in miniatura,
lo stesso, incompiuto.

*

Voglio una casa vecchia, sola,
coi muri forti e spessi
(gli angoli bui odorosi di fresco)
fatti coi sassi e coi pastelli, rosa,
l’intonaco irregolare
che fonda la mia memoria
di un mondo che doveva venire.
C’è ombra e sole nell’orto
tavolo e sedie in pietra,
una tazza sbeccata, indispensabile.
Silenzio. Clamore
di cicale e scuri
socchiusi. Ho gli occhi aperti
nell’alta stanza quadrata
in cui nulla accade.
Guardo il tempo si arrende
e mi dice che è pieno
il mio senso
la mia immaginazione
il futuro.

*

C’era una dolcezza, la sera, all’imbrunire.
Un arrendersi all’abbraccio del buio
un lasciarsi andare. Nessun sospetto
che significasse la fine.
Tutto era attesa
rilascio cominciamento.
O forse la fine era dolce,
come una ricompensa.

*

Te la ricordi la sera
della malinconia?
Era settembre
nel bosco vivo
e calava il sole
ma c’era ancora
così tanta luce
che sembrava il giorno
non dovesse mai finire.
Erano le cose ferme
che cambiano
cadono
scaldano.
Come un ingresso in un altro
mondo un andare incontro
a tutto quello
che doveva capitare.
Un venire (qui), un accadere.
L’inizio collocato
al vero centro
della fine.
L’odore d’esser sazi
(e poi non esserlo più):
quell’amore per le cose compiute.

*

Portiamo addosso
questi marchi evidenti
impressi a fuoco, nella carne.
Il polpastrello che tasta
non coglie attrito triste
che non sia la pelle
in arrendevole rilievo.
Forma d’amore.

Ma la memoria.
La nozione (quella sì)
dello strazio
di non sapere salvare
chi è straziato
e ci ama – questo sì
ci straccia.
Consegna filamenti
di mente al vento.
Ci finisce secondo
la legge del mondo.
Dà nomi alla vita
(madre, padre,
sorella).

*

Paola Loreto, Miei lari, nota di Fabio Pusterla, Marcos y Marcos, 2024

Paola Loreto è nata a Bergamo e insegna Letteratura americana all’Università degli Studi di Milano. Ha pubblicato i libri di poesia L’acero rosso (Crocetti, 2002), Addio al decoro (LietoColle, 2006), La memoria del corpo (Crocetti, 2007), In quota (Interlinea, 2012), case spogliamenti (Aragno, 2016) e Miei lari (Marcos y Marcos, 2024); le plaquette Spiazzi dell’acqua (pulcinoelefante, 2008), Ascesa (pulcinoelefante, 2018) e Avola (volo) (Il ragazzo innocuo, 2018); le sillogi Transiti (in Almanacco dello Specchio, Mondadori, 2009) e Conoscenza della neve (in «Poesia», gennaio 2012), oltre a una silloge di poesie sulla montagna (Premio Benedetto Croce 2003). La sua poesia è stata tradotta in inglese, spagnolo, portoghese e polacco. Una plaquette è stata pubblicata negli Stati Uniti a cura di Lawrence Venuti (houses / stripped, Toad Press, 2018). Ha pubblicato studi sulla poesia di Emily Dickinson, Robert Frost e Derek Walcott. Traduce i poeti americani (tra cui Mary Oliver, Primitivo americano, Einaudi, 2023) e collabora con varie riviste di studi americani italiane e straniere.


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