
Roma sotto a ‘sto celo di Marco Masciovecchio
Prefazione di Davide Toffoli
Postfazione di Emanuela Sica
Nota critica di Anna Segre
Collana Plenilunio, Delta 3 Edizioni, 2025
Un filo di luce sul viso di Roma
Noi semo un’ombra ch’attraversa er tempo
Noi siamo un’ombra, avverte Marco Masciovecchio, un’ombra ritmata da un leggerissimo bagliore sul viso indiviso nella diagonale del tempo quasi essere cromatura d’interno che improvviso si riporta segmento frazionato e disteso dal vento sul corpo di una città, Roma, che ha oggetto e sogno nella metrica dialettale di un giorno sospeso a tutti i giorni conquistati nell’assalto del sole colpito a modo e luogo di quella vicinanza umana che non ripudia l’ultimo degli sguardi aperti al suono incessante di una perpetua ferita mai assolta dalla pena d’ardere in nome di una verità che batte ner cervello, muovendo a sé tutta la paura dell’abbandono, / la perdita d’un fraggile equilibbrio. Perché è sempre l’equilibrio a perdere il baricentro del vero quando a mancare è una carezza sopra i lividi della vita rimasti a rammendare i pezzi di un respiro sfrondato sulla terra come si sfrondano i fiori quando tutto il firmamento annera il sorriso di un bambino, di una donna caduta nel vuoto, di un operaio che sforza l’angolo delle dita per continuare a sperare, di un nome dimenticato come si dimenticano le parole quando non si sanno donare per mancanza innaturale di una foglia oscurata sul nudo di una casa con un gatto a tremare di pena sotto ar letto per il timore di un sussulto nascosto alla ragione dell’amore. I testi si compongono di una trama ad alta tenuta narrativa, nessuno spazio è lasciato a cedimenti espressivi anzi è proprio nell’espressione popolare della povera gente di borgata che ne avvertiamo intero il timbro di forza dentro a un idioma romanesco che avvolge e coinvolge il lettore nella trama sotterranea ai vicoli di una sempre eterna vicenda quotidiana come eterna è la bellezza quando penetra il silenzio nella maglia tessuta dal verso cantato come si canta la memoria presente sul contorno della storia, di ogni storia che sappia raccontare il conflitto e la dolcezza, la miseria e la ricchezza del cuore. Ed è così che accade quando un uomo, un poeta, si concede tra le dita un filo invisibile de luce per far tornare a respirare con vorti e parole / le nostre misere vite, i nostri drammi, la nostra inconclusa veemenza innanzi al mondo, il nostro miserabile mondo dove basterebbe solo ’no spicchio de sereno ad affrescare il cielo come un dipinto, / fatto da Iddio, / p’aricordacce che solo là ce sta’ er Paradiso.
Daìta Martinez
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