*

Mi chiedi un figlio. Ovvero: come un dono
di carta colmo d’acqua, l’animale
che non posa sui rami e non sprofonda,
lama che divide le spighe
dai gambi, e il portatore sottopelle
di radici che ignora. La creatura
che stancherà i tuoi muscoli
fino a conoscerne ciascuno
e a tramandarti viva, ma staccato
il tuo viso da te come un affresco
mentre tu diventi muro. Mi chiedi
un figlio, dici, perché questo imbuto
che sentiamo d’essere, soffocato
di sabbia bagnata e muto benché
nutrito di tutte le parole
e d’altro ancora, restituisca infine
un granello alla terra, a tutti i libri
almeno una sillaba.

*

Sangue di mosche sul muro. Eppure abito
qui, come belva agli abbeveratoi.
Cresce il muschio notturno sui canali,
suono di palpebre umane, di pane
invecchiato nelle tasche.
E odore di vernici che s’incendiano
addosso alle cose, che svelano
l’alveo bruciante del colore.
Indizi di possibili intervalli
tra l’occhio e la narice.
Lirica sull’intonaco, incompiuta:
“Mio corpo, ripostiglio
per le ossa, luogo in cui stipare
sulla terra il superfluo della notte”.
Memoria di bambini che si muovono
nel buio, la mano alla parete, il piede
che tasta lentissimo l’aria.

*

Ci è capitato di essere poeti
come arriva un esproprio sulle case
per una strada in costruzione
che quasi non ci riguarda.

Dormivamo, e le ustioni del giorno
erano pelle nuova al risveglio.

Ci è capitato di essere poeti,
ambulanze che portano
un carico di sangue estraneo.

E intanto il movimento
di pettini antichi ci lascia
in testa capelli di morti.

*

Sentirti passare nel buio
come un seme nel frutto. Prevedere
il momento in cui mancheremo, il dopo
delle piazze crollati i campanili
superbi. Ti trovo nel buio:
da una palude immensa come un occhio
emerge la pupilla che mi sfiora. Dobbiamo
amare in silenzio la terra che ama
i morti come un marmo le sue vene.

*

Litania

Usciamo dalla doccia. Con la maglia
rimasta ti asciugo le vertebre.
Tu mordi come i cani disegnati.
Comincio ad allargare le braccia
per darti un orizzonte. La mia testa
è il sole che tramonta. Nello specchio
una natura morta con portasapone.
Il silenzio è un martello
che sta cadendo dall’impalcatura.

*

Isacco Turina, I destini minori, Il Ponte del Sale, 2017

Isacco Turina è nato a Villafranca di Verona nel 1976 e vive a Firenze. È ricercatore in sociologia presso l’Università di Bologna, dove insegna Sociologia delle religioni. Ha curato i volumi di saggi I nuovi eremiti (Medusa, 2007) e Chiesa e biopolitica (Mimesis, 2013). È presente nell’antologia L’opera comune. Antologia di poeti nati negli anni settanta (a cura di G. Ladolfi, Edizioni Atelier, 1999). Ha pubblicato i libri di poesia I destini minori (Il Ponte del Sale, 2017) e Non come luce (Terra d’ulivi edizioni, 2021, nella collana diretta da Giovanni Ibello) e la raccolta di racconti Elogio delle merci (Coazinzola press, 2018).


Scopri di più da larosainpiu

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.