cribari

aspetto quando ridi

e l’aria si fa sgombra e sembra dirci

sottovoce:

voi

aspetto che mi parli

quando mi parli e ti difendi

aspetto il tuo nome

tra la lingua e il palato

tra le mie labbra e le tue labbra

aspetto ogni centimetro

il millimetro che cede al tuo odore

aspetto che torni e che parti

perché so che poi torni e mi dici

con le mie quattro sillabe appese

alle tue quattro sillabe attese

ti aspetto

*

mi sembra che maggio profumi di più

che le persone si ascoltino meno

che alzino meno la testa

che si siano abbrutite

mi sembra che i selvaggi abitino in città

e tutte le altre creature

abitino ordinatamente i boschi

mi sembra che affidarsi agli odori

sia la strada più breve per attingere ai ricordi

il vento tinge e il sottobosco

sa di sabbia e pomeriggio

l’idea mediterranea resta ferma

come un fremito perenne

bianco e azzurro

senti: il limone, la ginestra, il gelsomino

il dopobarba di tuo padre

senti i muri, carichi di rovi e di lucertole

impietrite

senti casa, è lontana, sei solo

la tua ombra sul sentiero indica l’est

sei ancora un bambino

se scrivi sei ancora un poco vivo

se ti commuovi per l’abito a fiori di una donna

anziana

se immagini ancora la sua vita intimorita

mi sembra che strepiti ai lati

la vita

lei muta e profumata

muta e sbalordita

neanche l’aria si ripete

tutto appare e scompare

chi resta ha una condanna

un’altra sete da curare

*

Cara I.,

torno alla poesia dell’abbandono, che riconosce il presente e lo celebra perché riconoscente. Sappi che tu esisti perché io muoio; perché io davvero sento il buio, il millimetro di pelle in cui sgorga la malattia. C’è un cancello, fuori dalla casa dei miei nonni, in Calabria, a Diamante, che è l’immagine esatta del dopo, la forma dell’istante verso cui non si torna neanche un po’. Un fotogramma estivo, l’infanzia, il colore giallo delle cose. Il centro: confine e infinità della poesia. Mi ci fermo davanti quando voglio. Anche adesso, che sono sui monti e ci separano il tempo e l’odore dell’aria. Mi ci fermo davanti e sento addosso «la poesia delle cose abbandonate».

Vado dove la vita ha germogliato e sto in silenzio, osservo. Non c’è quasi sentimento: sono incatenato alla nostalgia, ci sono addosso. I luoghi si riempiono e si svuotano, vociano e poi tacciono. Io sento nei vuoti, dei vuoti. Maturo nel silenzio le parole. Poesia delle cose che cambiano. Fotografia. Forse questa poesia non necessita di parole.


Emiliano Cribari poeta, camminatore, cercatore di luoghi perduti. Dal 2019 organizza camminate letterarie nei boschi dell’Appennino. Ha pubblicato La cura degli istanti (Transeuropa, 2019), La vita minima (AnimaMundi, 2020), Errante (AnimaMundi/emuse, 2022), Mar d’Appennino (Edizioni dei Cammini, 2022), Il valore dell’aria (EC, 2022) e I diari del libraio errante (EC, 2023). Ha inoltre curato il riadattamento in lingua italiana della raccolta di poesie La saggezza del condannato a morte e altre poesie di Mahmud Darwish (emuse, 2022).

Cronache dalle rovine


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