La fragilità dei pesi
Ha un colore di osso secolare, brunito,
di reliquia, la capriata che regge il tetto,
prediletta nei sogni, nelle sere di sciami,
di guano, che il fare del caso ripresenta;
eterno approdo delle ore, rifugio
di ombre disposte dai tramonti e
se l’ora ritarda solo di poco gli istanti
se la luce si sofferma ancora,
un lembo oscura, graffia i margini
rimasti tra puntone e staffa,
fruga la fragilità dei pesi, i punti di rottura,
al rintocco di campane dai sentieri
dimenticati, all’urto dei ferri e dei tiranti
e si rivela indubbia la sua forza nel sonno
improvvisato, poco più che il lenire
d’analgesico per l’insaziabile dolore.
Disordini
La vita scissa tra memoria e ragnatele,
la rimessa degli attrezzi, i ripostigli
di utensili e fiaschi negli angoli scuri,
dimora di ghiri addormentati sulle travi;
non c’è un inventario, uno schedario,
ci si perde tra i percorsi, ogni domanda
resta aperta, ammessa d’ufficio tra le attese:
dove andavamo? ora ruggini e crepe
amano le polveri e altri corpi,
negli angoli del giardino tra ortiche e vasi,
privi di lucidi cordogli che potrebbero
servirti nell’ordine che fai cercando ancora.
A margine del tempo
Ma poi alla fine qualcosa rimane
tra rimasugli di idee, di prese di
posizione, tutto quel dire,
di contrasti di accordi fatti…
un accumulo sufficiente,
scorta per i giorni a venire,
passa così la storia sul panorama
che non varia il suo profilo
che non si scosta dal tempo.
Cammino per queste strade
che rivedo, che gli anni hanno leso
con crepe e squarci sopra i muri
e ora tutto sembra uguale
anche se la vita non raggiunge più
quello che prima era solo lontano.
Remoti e vivi
La foto ritratta il tempo
trafigge l’istante e il suo destino, solo
la carta lo deteriora, il suicidio nei contorni
e nelle crepe rinsecchite;
attraversata la soglia il cielo torna
luminoso, carico del suo futuro,
l’osso bianco ritrova la sua carne,
l’aria sfiora l’acqua senza un confine,
su questo pendio lungo l’asse in equilibrio
per noi che siamo in questi anni remoti
e vivi, pietra di colonne pericolanti,
noi stessi codici miniati quasi illeggibili.
Strade
In un punto ripido della strada
e talvolta già all’inizio
come pure alla fine di ogni viaggio,
c’è stato un sogno sognato sul momento
una furia improvvisa
che disperdesse tutto,
il fare conto su un ordine ripristinabile;
sogni labili per noi impreparati
a strazi e a stupori
pronti a seguire l’usta dell’istante
con la ferocia di predatori disorientati.
*
Alessandro Franci, La fragilità dei pesi, prefazione di Caterina Verbaro, Società Editrice Fiorentina, 2020

Alessandro Franci è nato nel 1954 a Firenze, dove si è laureato in architettura. Per le Edizioni “Gazebo libri” ha pubblicato: I segni terreni (1984), Senza luogo (1985); Delitti marginali (1994), La pena uguale (2009). Per la “LaRecherche” gli e-book: Il fermaglio (2011), La Luna è nuova. Poesie 1980-86 (2012), Sbagliando strada (2017). Nel 2013 ha pubblicato il romanzo Il mese della Luna (Gingko edizioni). È presente in varie riviste e antologie. Dal 1983 al 1993 è stato redattore della rivista “Salvo imprevisti” e dal 1993 a oggi de “L’area di Broca”. Nel 2020 per Società Editrice Fiorentina ha pubblicato La fragilità dei pesi (prefazione di Caterina Verbaro, finalista al premio PontedilegnoPoesia 2021) e nel 2022 per Vydia editore La lingua convenuta (prefazione di Alessandro Fo, premio Gianmario Lucini 2021-2022).