*

Chissà verso dove

Ora
di te più non so, che come sempre
t’intenebri e ti chiama e disegna
quel profilino d’ombra che eri.
Oh, disperso, vagolante fra le cianfrusaglie
dei miei pensieri – come sempre ci distrae
il dolore per poi meglio afferrarci di sorpresa –
un alcione marino che si posa sul davanzale
e subito se ne vola
chissà verso dove.

*

Minuzie imperative

Poi un analgesico affaccendarsi e riempire i giorni
di minuzie imperative: catalogare conchiglie come
armature di milizie marine, disfare ogni tela
da me tessuta,
ascoltare con occulto consenso
nelle funebri litanie dei tarli odiatori di luce
lo sgretolarsi delle travi,
aspettare che sul ti amo ti odio del letto
si depositi il loro polverio
come una tiepida coltre di cenere.

Leggo di notte negli astri, quando fisso
il cielo insonne, troppe storie che ci somigliano.
Neanche uno sfiorarsi delle dita mentre
sulla tua pelle sudata si consumava l’epilogo.

*

Per altri sogni

La sera siedo ad aspettare la luna, e ti scrivo –
chissà dove, non lo so dove sei. So che non
tornerai un’altra volta per la resa conclusiva,
quando tutto è compiuto si sgretola la casa
disabitata e il mare ripete in rima
che tutto si ripete.
Le parole che ti scrivo prendono il largo
come un’ordinata flottiglia: spero non ti raggiungano,
dovunque tu sia.
Doverti attendere ancora, accarezzando lo
scialle –
ognuno ha la sua parte nel poema e la mia è
sapere obliqui i tuoi sentieri e il mio
rivolto a questa bianca estremità
dove ogni tratto di penna è la tua assenza
e la tua ombra.

Ora stremata,
poiché ho smosso montagne di parole
e di te non un dito – ora smagrita e grama cagna di Ecate,
chiedo farina, non sale, per altri sogni mi addormento
in fondo alle scale.

*

Massi e maschere

Passano i popoli sulla terra, come quella
cenciaiola di nubi che trasmigrano in cielo,
spinte da venti che non sanno.
Il popolo tuo, basilissa, è astuto e predone,
circonda i palazzi di massi non umani,
e pensa la morte come una maschera d’oro.

Ma anche il loro tempo è contato
e già i cantori affinano le storie
da ricordare dietro i loro occhi ciechi.

*

Questa musica

Uno sciame di sillabe evade
nell’aria assolata, nello scoppiettio
di luci sulla superficie del mare,
e ora mi resta questa musica –
niente che valga più la pena di dirti,
affaccendato come sarai
a ingannare le ombre.

*

Maria Clelia Cardona, Di fiato e di fuoco, postfazione di Giovanni Tesio, Coup d’idée, 2016

Maria Clelia Cardona è nata nel 1940 a Viterbo e  vive a Roma. È presente su numerose riviste e antologie e ha pubblicato romanzi, raccolte di poesia, traduzioni e testi di critica letteraria. Fra le opere di narrativa: L’altra metà del demone (Marsilio, 1998), Il cappello nero (Marsilio, 2000), Furia di diavolo (Avagliano, 2008), Sottoroma (Empiria, 2013). Fra le raccolte di poesia: Il vino del congedo (introduzione di Mario Luzi, Amadeus, 1994), Da un millennio all’altro (Empiria, 2004), Il segno del novilunio (disegni di Lucilla Catania, Il Bulino, 2011), Di fiato e di fuoco (postfazione di Giovanni Tesio, Coup d’idée, 2016), I giorni della merla (postfazione di Marco Vitale, Moretti&Vitali, 2018). Fra le traduzioni: Yves Bonnefoy, L’acqua che fugge. Poesie scelte 1947-1997 (Fondazione Piazzolla, 1998), Carmina Burana (Guanda, 1995), Arthur Rimbaud, Una stagione all’inferno (Ladolfi Editore, 2012). Fra le opere di saggistica: La storia della villeggiatura (Abete, 1994), L’essenza dei latini (con Luca Canali, Oscar Mondadori, 2000) e lavori riguardanti il mondo classico per Einaudi Scuola. È stata condirettrice della rivista letteraria “malavoglia”, collaboratrice di “Pagine” e “Leggendaria”.

Foto dal sito di Rai cultura