Tema: Che cosa è per me la poesia
Svolgimento:
Cercassi ancora la poesia andrei a stanarla lì dove non conosce gabbie, lontano dagli esseri umani, ma viviamo in una società che si nutre di se stessa ed ognuno è cibo defecato per gli altri. Essendo cresciuto in una realtà (Firenze) che aborrisce la poesia e rifiuta una qualsiasi cosa che non sia omologata nell’esaltazione autoreferenziale cieca del mito putrido al giorno d’oggi della fiorentinità, essendo io di radici elbane, mi sono fin da bambino reso conto di un naturale isolamento personale, il quale crescendo e scoprendo me stesso nelle mie inclinazioni sentimentali poetiche parallelamente alle cose reali della vita, cioè a come volgarmente gira il mondo, ha aggiunto la consapevolezza di come in Toscana fossi in un buco nero culturale in contrapposizione ai due grandi centri nazionali di aggregazione. Per il nord del paese Milano e per il sud Roma, e poi io nella valle di nessuno, figlio di nessuno. È una illuminazione che quando te ne accorgi uccide la tua poesia. Perdi completamente la misura di te stesso e ti metti a rincorrere pipistrelli che all’inizio scambi per aquiloni. Fine della poesia scritta, inizio di quella pubblicata e recitata. Bambino con la penna in mano non scriverai mai più e ti limiterai nei generosi soli di primavera a colorare lungo i bordi. La cosa triste è che quando ne parlo con altri poeti/e/*(così facciamo contenti i tristi rompicoglioni buonisti) mi guardano straniti e confessano di non capire. Solo i marinai apolidi che leggono le stelle possono sorridere alle mie parole di sale. Non certo questi nostri poeti italiani di miele, abituati alla sicurezza provinciale del codice di avviamento postale. Cosa era per me la poesia? Quando ero libero e vivo credevo, scrivevo, dicevo “salvaguardare quello che non voglio vada perdendosi, o ciò di cui debba liberarmi”.
Oggi dopo anni nella trincea della poesia italiana, dopo che da storico (ho una formazione accademica specifica in quanto laureato magistrale in scienze storiche) mi sono reso conto di come la mia generazione sia stata saltata ed il potere anche da un punto di vista culturale, perché la cultura è un’arma politica, sia passato in questo paese dai “sessantottini”, i quali hanno ucciso i padri per prendere il loro posto di potere e poi lasciarlo solo per sopraggiunti limiti di età adesso ai nipoti, saltando noi figli. Dopo qualche migliaia di libri letti, perché leggere ci tiene liberi dalle catene, ed aver visto che in questo paese i Maestri insegnano agli allievi a scrivere come i loro Maestri e via discorrendo in un filo tetro che dal Bembo arriva ad oggi e trovi ventenni che scrivano come i loro bisnonni, mentre io nella mia bolla mediterranea lontano dal salotto accademico in stile “Arcadia”, mi sono potuto formare con Baudelaire e la compagnia godereccia malata del bistrot, o tra l’erba fresca al tocco dello zio Walt Whitman, o nelle camere sudice di urla e silenzi di Charles Bukowski, o ancora nel ricordo del mondo stretto in un abbraccio di forza a Dino Campana. Io che mentre scrivo ascolto le lacrime di Chet Baker, ho dovuto concedere a me stesso la verità di essere poeticamente un paria oggi nel piccolo mondo poetico nazionale (piccolo per auto volontà a salvifica protezione del “palazzo” poetico). Ma non sono del tipo “la volpe e l’uva”, a me spiacciono la distanza, l’isolamento e l’impossibilità di comunicazione imposta dalla regola che solo chi somiglia ed è nel club esiste e può suscitare interesse letterario. Non è questa la vita, non è questo il mondo, non è questa la poesia. Purtroppo, sono e rimango un sentimentale ed umanista, anche se nella poesia che mi circonda trovo molto mestiere, tecnica e professionalità piuttosto che sentimento ed umanità. In conclusione, dopo che ho iniziato a frequentare e conoscere di persona i poeti mi è passata la voglia di scrivere, mi sono inaridito, ed ho anche smesso di leggere poesia contemporanea. La noia del bello stile e la banalità ripetitiva dei testi mi stanno uccidendo. Mi chiudo nel cliché che i pagliacci siano sempre i più malinconici, fallisco l’ennesima piroetta ed evito di scrivere.
Isola d’Elba 25 Ottobre 2022
L’ORA DEL PADRE
Quando avevo un padre beveva,
ma come tutte le persone che bevono,
non voleva bere da solo.
Allora ad un certo punto della notte,
ma forse sembrava notte solo a me bambino,
veniva a svegliarmi nel mio lettino,
piccolo brutto letto vuoto di bambino,
e passavamo la notte,
quella che a me bambino pareva essere la notte,
insieme ad ascoltare vecchi dischi.
Vecchi per un bambino.
Questo è il ricordo più prezioso
che ho di mio padre, la musica.
Ora che indosso gli stessi anni
di quanti lui non sapesse abitare
mentre beveva
e cambiava per sé gli LP volendomi con sé lì,
voltandomi le spalle stretto ai solchi neri di liquirizia amara, carezza persa umana nel gorgo scuro
dove non riusciva a stare solo.
Ora che sono solo e so che non ho nessuna famiglia
a cui fare sentire le canzoni che amo
e che mi rendono triste, troppo triste, sempre più triste
ad ogni nota blues.
Ora che non conosco mano da prendere
per condividerle.
Ora che sono solo anche questa sera
e che il giradischi tace
ed io sono un logorroico stonato romantico abbandonato rottame che nessuno ascolta.
Ora che sono diventato quel pessimo uomo
di mio padre.
*
La Poesia del pane
(a Matilde da Don Pablo)
Quasi mi arrabbio.
Parole come sorelle,
segreta confessione di un amore
che segreto non è.
Oggi sei mia e ci siamo trovati
come anima in affanno raccolti.
In fiamme questo anello
scoperta del poeta che scopre se stesso.
Altro non devo scrivere,
altro non devo leggere,
altro non posso scrivere a te.
In una singola poesia io amo te
nel mondo che tu mi fai amare
e m’innamoro ogni giorno ancora
del sole, del sale, del pane, del tuo insegnare.
Mi completi e fai scrivere
queste parole d’incendio e pace.
Quanto canto di copiose lacrime
tra le righe, fra le pagine
leggendo la fusione nelle tue mani
delle nostre anime.
Ti giuro Signora mia
sono morto e risorto di Te, del Tuo amore
e solo so di amarti.
Altro non conosco
né capisco più Matilde che Te Urrutia.
*
LE VIEUX BELLEVILLE
(Cafè chantant)
Dolce vento del nord
che intenerisce l’estate
alle cameriere, fresche mosche
fra i tavoli in festa.
Pone pace tra le risa
róse dal vino rosso,
vecchio fiume carsico di quartiere.
Porta a parole lontane,
sillaba fra le dita.
Corteggia la lingua i tonghi
come tamburellanti bonghi
a matematici suoni sordi
e magici canti altiforni
di nuvole filanti, contorni ai sogni.
Le favole dei folli.
Dimenticato ricordo
a perduta guerra.
Nave che affondi oltre gli orizzonti
delle pagine strappate lente, lette sui bordi dei porti.
Soldati scalzi massacrati pazzi dai ricordi.
Spose di panettieri divenute vedove avide
nel piangere lacrime mescolate
a memorie frivole, farine ed olio extravergine,
acqua fuoco sale
per farne vita chiamata pane,
mentre un ubriaco senza passato
né nome scrive lettere d’amore
alle persone sole
firmandosi con inchiostro fine.
Jonathan Rizzo: Parole e voce, corpo e anima. Un animale apolide. Radici nel salmastro mediterraneo del Principato elbano, studi storici nel Granducato toscano e palestra di vita sui boulevard parigini. Un gran bastardo senza casa, col cuore lasciato in ostaggio in un paradiso perduto chissà dove nella tradizione dei portatori di luce. Esordisce con disonore della nuova antologia di poeti fiorentini, “Affluenti”, edizioni Ensemble Roma 2016, da lì ad oggi parteciperà a sei antologie poetiche, ma soprattutto è autore unico dei romanzi folli “L’Illusione parigina” edizioni Porto Seguro Firenze, 2016; ed “Eternamente Errando Errando” edizioni LaSignoria Firenze, 2017. Ed infine uscito nell’autunno del 2018 la silloge poetica “La Giovinezza” per l’edizioni Ensemble di Roma.
Nel 2019 vince il premio poetico “Le Parole nel Cassetto” edito dal caffè letterario de Le Murate di Firenze. Dal 2020 alla faccia delle pandemie mondiali dirige e presenta il programma radiofonico AL BAR DELLA POESIA sulla web radio RadioGrad ed è direttore artistico della programmazione culturale del caffè letterario Volta Pagina di Pisa. Per non farsi mancare nulla in piena prigionia viene pubblicato nell’antologia poetica “Congiunti” per l’edizioni Ensemble di Roma e chiude l’anno con il suo quarto libro personale, “Le Scarpe del Flâneur”, una silloge di testi scritti nella sua parigina alla ricerca della tradizione del poeta camminatore, sempre con l’edizioni Ensemble di Roma.
Nella prima parte del 2021 conduce un programma di arte e cultura alternativa sulla web tv Stylise dal nome JHONNYSBAR altre forme d’arte, per poi entrare nell’antologia “Distanze obliterate” del blog poetico ALMA POESIA edito da PuntoAcapo. A sorpresa nel direttivo del movimento poetico “Rinascimento Poetico” come referente toscano e direttore artistico della manifestazione “Gran Premio alla poesia” in collaborazione con l’associazione culturale La Chute di Firenze, giunta alla quarta edizione.
Può vantare poesie tradotte in francese, inglese, spagnolo e portoghese con pubblicazioni in riviste di settore in Francia, Spagna, Argentina e Brasile. Nel 2022 stanco della poesia si prende una vacanza poco seria con il romanzo giallo “Un caso pop per l’ispettore Iannacci”, edito da PunoAcapo.
Sempre in viaggio, sempre in fuga, poeta senza casa, lo potreste trovare in qualche bettola a leggere le sue poesie disperate con l’accompagnamento musicale dei soliti galeotti delle 7 note col progetto di poesia e musica “Jhonnysbar(Nuova gestione)”, o in quei luridi postriboli di cui fingete di non avere memoria, ma dove in verità avete incontrato le vostre compagne d’altare. Ecco probabilmente sarà lì con loro a bere sperperando i vostri soldi brindando a voi mentre scrive queste ultime note biografiche giusto per il gusto di farvi incazzare.
grazie per averlo segnalato. Interessante voce fuori dai cori e dai circoli esclusivi dove di poesia c’è soltanto l’illusione
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