ALFREDO PANETTA DELLA POESIA DICE

Strano raccontarsi in prosa quando sei abituato a farlo esclusivamente in versi. E’ come denudarsi alla luce del giorno. I versi ti concedono la notte, un sottile a affascinante travestimento. La notte è più breve ma profonda, immediata. Il luogo dove può manifestarsi lo straordinario scrigno dell’inconscio. A tua insaputa, fortunatamente. Questo è solo il mio personale rapporto con la materia parola, lungi da me enunciare teoremi universali. In fondo, si tratta sempre di parole ma usate come fossero due strumenti nettamente diversi. Tutto inizia dai ricordi. I ricordi stessi (e non casualmente uso al plurale il sostantivo) sono, a mio avviso, sinonimi se non equivalenze di poesia. Ricordi di un maniaco, i miei, lo ammetto. Nel senso che già da adolescente avevo il vizio di annotare tutto; guai se mi fosse sfuggito un solo pensiero, una sillaba. Annotavo sui diari, su pezzi di giornali, sulla carta delle confezioni alimentari e non dico altro per rispetto. Un maniaco dell’inchiostro. Così, il primo dialogo con le nuvole (e con Dio che, certo, era nascosto dietro stratocumulo), o con la Quercia Grande, luogo di ritrovo di adulti e ragazzi. E in seguito il fango sulle scarpe, le partite di calcio tra gli alberi di ulivo o sul pietrisco della fiumara. E gli animali domestici, il rito del maiale (necessario per ogni ricerca antropologica), il raglio dell’asino del “Noncio”, le capre le volpi i cani ed i rigogoli. Per non dire dei nonni ma, qui mi fermo. La retorica è sempre dietro l’angolo, evitiamola.
Poi, poi naturalmente vai via, emigri. Lo sapevi già, le campagne avevano i giorni contati negli anni 70 della Calabria, e non solo, contadina. Ti trasferisci a Milano per studio e per lavoro. Milano ti consiglia, senza mai forzarti, in Lombardia se laurà. E tu lavori, quell’aspetto dell’uomo che nobilita. Non è male poi fare l’artigiano. Finestre, vetri, porte e incontri; incontri le persone in carne ed ossa. Impari a conoscere la città, il mondo. Meglio il tuo mestiere, mi disse Franco Loi, che leggere troppi libri. Per la poesia serve la vita vera, poi leggi anche. Quello è concime.
Arriva il lavoro, la famiglia. Incredibile Milano! Ti offre un lavoro e ti da’ la possibilità concreta di formare una famiglia. Di diventare un uomo. E nascono due figli, ecco il vero miracolo. Impari ad amare. Questi gli unici libri di cui sarai orgoglioso: Sara e Massimo. E dopo Massimo ci arriverà Fabio, il primo nipotino. Non finirò mai di ringraziare questa città severa ma di parola; accogliente, generosa e a suo modo materna. E le chiedo ogni giorno scusa se dopo 40 anni non sono riuscito a innamorarmene. Ma l’amore, si sa, talvolta è ingiusto. E poi, non è mai troppo tardi. Grazie Milano, grazie Lombardia.
Qui sono diventato poeta; sarebbe altro la mia poesia senza l’esperienza lombarda. Tutto da qui ho scritto. I miei primi 20 anni in Calabria, la “mia” natura ha senso solo se ricordata da qui. Qui ed ora il ricordo diventa presenza nella parola scritta. I miei versi non sono mai proiettati nel presente del passato ma nel presente del presente o del futuro, semmai. Almeno, queste le mie intenzioni.
E nascono 5 libri in 20 anni. Belli i libri, quasi come i figli. Nel primo, Petri ‘i limiti (Pietre di confine, Moretti & Vitali, 2005) parlo di una Calabria arcaica, emigrazione, natura, ndrangheta, difesa dei deboli e altro. C’è attrazione per gli opposti: violenza e dolcezza, natura selvaggia e lirismo, terra e cielo, albe ed imbrunire, ombre e rinascite. La “narrazione” è in profondità, mai esclusivamente in orizzontale, piatta. Non faccio cronaca né sociologia né storia. Così più o meno fino all’ultimo libro: Ponti sdarrupatu, una raccolta di voci delle vittime del Ponte Morandi. Un lavoro corale, io dico. La poesia non si scrive mai da soli. Sono uscito dal seminato calabro: finalmente, Alfredo! Ho azzardato; la poesia a tema civile è a forte rischio retorica o political correct . Ho cercato di evitare i tranelli concentrando l’attenzione sulle persone. Sui loro sentimenti, sul loro mondo interiore, sul loro dramma: senza esagerare. Ho provato ad entrare nella vita degli altri guidato da una parola che mi ha accompagnato fin da ragazzo: rispetto. E io rispetto la parola e le persone, gli animali e le cose. Rispetto il tanto che siamo, il poco che saremo. Accompagnati dalla meraviglia di esserci, comunque.

LA SUA POESIA CI DICE

Da Pethri ‘i limiti (Pietre di confine, Moretti & Vitali, 2005)

“La Calabria sta perdendo la ricchezza della sua povertà” (Giuseppe Berto)

POVARI
Mi mandaru ‘i ja via du Trubbulu
a cogghjiri agulivi, jà m’agustai
na murra ‘i povari chi si stuja
‘u culu cu frundi d’abbruvera.

Povaru esti sulu, mi dissi unu d’iji
cu si spara pugnetti c’a sidura d’i pà
e dassa mpurriri sonnura
e gudeja nta potiha du zziu Mi.

Po’ nci vitti mentiri i mani nta fissa
d’a fimmana cchjiù beja, tirà fora
nu panaru chjinu ‘i giarasa, rosi, poseja
fica calijati, cujuri ‘i pani e vinu ‘i Cirò.

Si guardà a desthra e sinisthra
cercandu ‘u faghuri di l’arburi
sentì ‘u rimuri finu d’a hjiumareja
picca nnanzi du ccittu. Doppu
si girà jani a mmia e- pigghia!-
mi dissi, mi ringrazzii
nta nchjianata, ò tornari.

POVERI
Mi hanno mandato
sull’altra riva del Torbido
a raccogliere olive, lì ho visto
un branco di poveri pulirsi
il culo con foglie di brughiera.

Povero, mi disse uno di loro
è chi si masturba col sudore dei padri
e lascia marcire sogni
e budella nell’osteria di zio Mi.

Poi gli vidi infilare le mani
nella vagina della femmina più bella
estrasse una cesta piena di ciliegie
rose, piselli, fichi secchi, ruote
di pane e vino di Cirò.

Si guardò intorno cercando
il consenso degli alberi, ascoltò
il mormorio del torrente, prima
del silenzio. Poi si volse
a me, e – prendi! mi disse
mi ringrazierai al ritorno
durante la salita.

Da Ponti sdarrupatu (Il crollo del ponte, Passigli Editori, 2021)

SAMUELE (Pilasthru n.31)
Stannu mpisi comu sònna vaporati
‘i domandi anudeja d’i figghjioli
nto temphu chi frana sutt’è pedi.

E se penzu ca‘u picciulu Samueli
pista forti ‘i nocchi nto vithru
nzin’a ciangiri l’occhji, pista
nta lamera chi diventa muru
ammata ‘a notti nt’è sònna
se penzu a’ paghura, eu cadu
nta nu thrummentu senza sarvazzioni.

Ndavi u nc’è na cosa cchjiù ‘i jà
chi mi gavita ‘u manicommiu
‘n ferraru ‘i palori e fatthi
chi raschjia, sarda, pitta
e po’ se servi nchjiova
e zala ‘nfacci d’a filesa
‘n nomu, ‘n comu, ‘n sensu.

‘I pethri vannu scurpiti
comu facci singati d’i viddhani
vannu battuti novi moneti
c’u hjiatu risistenti du doluri.

Puru se ‘u cielu è beju
e nc’è n’arietta frisca
‘a ricchji u senti ‘u zzuccu
du castagnu. Nto voscu
quasi ogni matina è festa.

A mmerda teni urgenza ‘i carizzi.

SAMUELE (Pilastro n.31)
Stanno sospese come sogni
evaporati le domande dei bambini
nel tempo franato sotto i piedi.

E se penso che il piccolo Samuele
batte forte le nocche sul vetro
fino a piangere gli occhi, batte
sulla lamiera, che diventa muro
se penso alla paura, io cado
in un tormento senza redenzione.

Dev’esserci qualcosa oltre
che mi eviti il manicomio
un fabbro di parole che raschi
saldi, tinga e poi se occorre
inchiodi e urli in faccia alla voragine
un nome, un come, un senso.

Le pietre vanno scolpite
come i visi rigati dei contadini
vanno coniate nuove monete
col fiato resistente del dolore.

Anche se il cielo è bello
e c’è un’arietta fresca
l’orecchio ascolti il tronco
del castagno. Nel bosco
quasi ogni mattina è festa.

Lo sterco ha urgenza di carezze.

*A Samuele, la più giovane vittima del crollo del Ponte Morandi. E ai suoi genitori Roberto ed Ersilia.

Poesia inedita (farà parte della prossima raccolta dal titolo: Ngrangheta)

LOCRI, PRONTU SUNCORSU (a F. Fortugno*)
Veniti sutta, òmani d’onuri
arrivà l’ura: scannatindi tutti!

Ma nnanzituttu, sentiti a zala
ffilata d’i carni-di-cristu
che spanza meduja e midianti,
nta sta casa rispettusa ‘i mpermi.

I pini marittimi a cupula hjiatanu
a purvari d’antichi culoni spartani
i pali spinusi d’i ficandiani
ccògghjinu i sputazzi du libecciu.

Sentiti, comu sèntinu i zàgari
u sthrisciari d’i corpi nt’è lenzola
ngrumati, sentiti i pedi d’i brandi
comu sthrìgghjicanu nt’è piasthrelli mpurruti.

L’unghji ‘i hjiatu signanu a peji
c’u stampu eternu d’a disperazzioni.

E com’un pruppu sbattutu sup’è scogghjia
i vosthri palori crudeli laprinu
surchi nt’è carni sthracchi d’i corpi-
àfanti. Nu refuleji njelatu
avi a paralizzari i nervi. Thra vini
e arterii, nterrotta ogni comunicazioni.

Non cercati, òmani d’onuri
‘u sarvati a cusciienza vosthra
cu medicini ‘i gentilezza pilusa,
scinditi d’a vosthra seggiuna
pemmu zalati è pethri: Eu fudi!
Eccumiccà, u vosthru debbituri.

E u sangu chi cassarijà pe’ l’isthracu
m’esti a resa pe’ mmia, nu brisci ‘i fedi pe’ vu.

LOCRI, PRONTO SOCCORSO
Fatevi sotto, uomini d’onore
è giunta l’ora: scannateci tutti!

Ma prima, ascoltate il grido
affilato delle carni-di-cristo
che squarcia menti e pareti,
in questa casa rispettosa di malati.

I pini marittimi a cupola respirano
la polvere degli antichi coloni spartani
le pale spinose dei fichidindia
accolgono gli sputi del libeccio.

Sentite, come sentono le zagare
lo sfregare dei corpi sui lenzuoli
aggrinziti, udite i piedi delle brande
come stridono sulle marce piastrelle.

Le unghie di fiato incidono la pelle
con lo stampo indelebile della disperazione.

E come polpi sbattuti sugli scogli
le vostre parole-veleno apriranno solchi
sui tessuti cadenti dei corpi-
fantasma. Una corrente gelida
paralizzerà i nervi, tra vene e arterie
interrotta ogni comunicazione.

Non cercate, uomini d’onore
di salvare la vostra coscienza
con medicine di gentilezza pelosa,
scendete dal vostro scranno
per urlare alle pietre: “Io sono stato!
eccomi, il vostro debitore.

E il sangue che ho sparso nei corridoi
sia la resa per me, un’alba di fede per voi.”

*Francesco Fortugno, vice presidente della regione Calabria e primario del pronto soccorso dell’ospedale di Locri, venne assassinato il 16 ottobre del 2005 mentre si recava ad esercitare il suo diritto di voto.

DICONO DI LUI E DELLA SUA POESIA

Giancarlo Pontiggia. […] sullo scenario di un mondo selvatico , crudo, animalesco, affondato in una dimensione arcaica e mitica, emergono figure plasmate in una materia scura, ctonia: ombre che la voce del poeta evoca da un tempo remoto, vorticoso, tagliente come una lama, perennemente sanguinante; a che, come quelle omeriche evocate da Odisseo sulla soglia di Ade, implorano soltanto “un po’ di vita”, prima di riaffondare nel fango e nelle radici di una terra che sembra abbandonata a sé stessa come se fosse priva di cielo….
Dante Maffia. […] Panetta ha la l’acutezza espressiva che un poeta norvegese o giapponese o argentino hanno nella propria lingua, ed è per questo che ha saputo decifrare certi enigmi di suoni portandoli a raggiungimenti davvero fuori dal comune. Insomma, ha saputo coniugare passato e presente in una dimensione che non offende né l’uno né l’altro e anzi li esalta tutti e due, perché non lascia spazio al consueto e al casuale….
Manuel Cohen. […] Riappropriarsi nell’immaginario del proprio fiume, o sia pure di una più modesta fiumara, significa non lasciare andare per sempre memoria e radici, identità in movimento. Significa per Alfredo Panetta far riemergere dal greto la lallazione memoriale di forte matrice rurale e sacro scritturale; tali ad esempio i correlativi oggettivi a forte connotazione realistica, etnografica, simbolica: la quercia, la roccia, i rovi, la capra, la serpe, la formica, il fuoco, gli avi…

ALFREDO PANETTA E I POETI “INFLUENCERS”

Elencare i poeti che amo sarebbe un’operazione dispersiva e noiosa. Individuare coloro che hanno influenzato la mia scrittura non è semplice, probabilmente sono parecchi, a mia insaputa. Non ho grandi esempi nella tradizione dialettale calabra. Tantissimi autori della mia regione, sia pur di eccellente livello, si sono tenuti al di qua della soglia della poesia neodialettale cui mi sento di appartenere. E allora la mia attenzione di lettore “interessato” si è rivolta verso altre regioni: la Sicilia di Ignazio Buttitta dal potente timbro civile, la Romagna del visionario Raffaello Baldini, la Lombardia dell’epica popolare di Franco Loi, il Friuli di Biagio Marin o Virgilio Giotti.
La poesia in dialetto in Italia, storicizzata da Pier Paolo Pasolini negli anni 50, è senz’altro al centro dei miei gusti di lettore ma sarebbe letale se mi limitassi a questo. Penso che il poeta abbia un bisogno vitale di allargare la propria geografia mentale. E di creare nuove sinapsi poetiche per sviluppare le proprie potenzialità. E poi, non dimentichiamoci di essere tutti nipoti e pronipoti di….dell’autore del più grande libro scritto dagli umani (parole di Borges, uno che di lettura se ne intendeva). Come non considerare alla base di tutti noi il Sommo, l’Inarrivabile? L’autore della Commedia. Non oso neanche nominarlo. E Petrarca, Leopardi, Montale? (Chi non ama Leopardi non è umano, e non sarà mai mio amico). Solo per citarne alcuni. E la capacità infinita di spaziare nell’Iperuranio da parte di Mario Luzi? Fino al rigore di Sereni, e alla forza tragica di Milo de Angelis. E poi, dove mettiamo gli stranieri? I romantici inglesi e tedeschi dell’800, i francesi di fine 800, per arrivare ai contemporanei. E i greci del 900 (Giannis Ritsos, Kavafis)… e la Szymborska? E Derek Walcott? E Adonis? E Transtromer? Ecco, sono caduto nella trappola dell’elenco ma l’entusiasmo è troppo. Quando sento la parola poesia, e quando la riconosco nei versi mi carico, m’inarco, mi commuovo. M’assale un desiderio di volare, cantare e di amare. In che misura le letture possano influenzarci è a mio avviso materia di psichiatria. Non scherzo. E la prosa? Mica si può tralasciare la narrativa! Senza Dostoevskij e Proust il mondo non sarebbe uguale, a mio avviso. Senza Pavese e Primo Levi, Svevo e Pirandello ed Eduardo ecc. ecc. idem. E via continuando all’infinito, perché poi la natura è per me fonte costante di ispirazione. L’osservazione dei dettagli, le stagioni, gli anziani, i bambini, l’ascolto. Tutto insomma può essere fonte di ispirazione. E l’ispirazione è una condizione mentale costante; questo forse il più grande dono che la poesia e la vita m’hanno finora offerto. E dire Grazie è per me…un dolcissimo naufragar. In dono ad Alfredo Panetta e ai lettori di larosainpu.org, di Ignazio Buttita, NON MI LASSARI SULU da Io faccio il poeta, Feltrinelli, 1972:
Ascutami,
parru a tia stasira
e mi pari di parrari o munnu.
Ti vogghiu diri
di non lassàrimi sulu
nta sta strata longa
chi non finisci mai
ed havi i jorna curti.
Ti vogghiu diri
chi quattr’occhi vidinu megghiu,
chi miliuna d’occhi
vidinu chiù luntanu,
e chi lu pisu spartutu nte spaddi
è diventa leggìu.
Ti vogghiu diri
ca si t’appoji a mia
e io m appoju a tia
non putemu cadiri
mancu si lu furturati
nn’assicutanu a vintati.
L’aceddi volanu a sbardu,
cantanu a sbardu,
nu cantu sulu è lamentu
e mori’ntall’aria.
Non calari ]’occhì,
ti vogghiu amicu a tavula;
e non è vero mai’
ca si deversu di mia
c’allongu i vrazza
e ti chiamu: frati..
.

NON MI LASCIARE SOLO
Ascoltami,
parlo a te stasera
e mi pare di parlare al mondo.
Ti voglio dire
di non lasciarmi solo
in questa strada lunga
che non finisce mai
e ha i giorni corti.
Ti voglio dire
che quattro occhi vedono meglio,
che milioni d’occhi
vedono più lontano,
e che il peso diviso sulle spalle
diventa leggero.
Ti voglio dire
che se ti appoggi a me
e io m’appoggio a te
non possiamo cadere
nemmeno se la bufera
c’insegue a ventate.
Gli uccelli volano a stormo,
cantano a stormo,
un canto solo è lamento
e muore nell’aria.
Non abbassare gli occhi,
ti voglio amico a tavola;
e non è vero mai
che sei diverso da me
che allungo le braccia
e ti chiamo fratello…


Alfredo Panetta è nato nel 1962 a Locri (R.C.). Nel 1981 si trasferisce a Milano dove vive e lavora nel settore infissi in alluminio. Scrive nella lingua madre, il dialetto calabrese reggino della Locride. Suoi testi e recensioni sono stati pubblicati su varie riviste, tra le quali: Nuovi Argomenti, L’Espresso, Tratti, Il Segnale, Capoverso, Famiglia Cristiana, Poesia, Riza Psicosomatica e Gradiva (NY); e su periodici nazionali tra i quali L’Espresso, Famiglia Cristiana, Il Quotidiano della Calabria, La Repubblica, La Prealpina e il Corriere della Sera. Sue sillogi sono incluse nelle raccolte antologiche Annuario Raffaelli 2019, Guardando per Terra, L’Italia a Pezzi, Traduzione-Tradizioni, Sette Voci in Campo.
Ha pubblicato 5 raccolte di poesia:
Petri ‘i limiti (Pietre di confine, Moretti& Vitali, 2005) Vincitrice dei Premi Montale, Rhegium Julii, Crotone, Albino Pierro, Città di Lanciano, Albiatum, e Mazzavillani.
Na folia nt’è falacchi (Un nido nel fango, Edizioni CFR 2011) vincitrice del premio Pascoli.
Diricati chi si movinu (Radici mobili, Ed. La Vita Felice 2015) vincitrice del premio Thesaurus.
Thra sipali e sònnura (Tra rovi e sogni, Ed. Punto a capo 2018) vincitrice dei premio Di Liegro e Salva la tua lingua locale.
E infine Ponti sdarrupatu (Il crollo del ponte, Passigli 2021) Vincitrice dei premi PoetaMi e La Girandola delle parole.
E’ membro di giuria in alcuni concorsi letterari. Coordina dei laboratori di scrittura poetica nelle scuole primarie di Lecco e Gallarate. Cura una rubrica sulla poesia dialettale contemporanea sul blog della Casa di Poesia al trotter di Milano. Suoi testi sono stati tradotti in inglese, francese, spagnolo, albanese.