Tino TrainaNon so dare una definizione di Poesia se non quella che essa è concessione di un privilegio per visioni più o meno improvvise di quella realtà che non si vede per insufficienza di cuore e di mente, per pregiudizio, per pigra abitudine. Per essa la parola si fa sacra, diventa miracolo se si nutre di quei sempiterni valori quali la capacità di suscitare meraviglia fino a” l’urto del prodigioso” di Heidegger; di creare armonia di ritmo e di musica; di utilizzare un linguaggio capace di raggiungere tutti gli uomini, senza distinzione di nazionalità, sesso, religione, cultura, stato sociale, attraverso quella commozione del sentimento che è potenzialità dell’anima e specchio della sua indole. Per quanto riguarda la mia, essa è segnata dall’inesorabile scorrere del tempo e tenta il ricongiungimento a purezze originarie mediante il recupero memoriale dei luoghi e fatti mitici dell’infanzia e di tutto ciò che possa riaprire il dialogo interrotto con la Natura.

 


Tramonti

Di parole non sempre
vestirai ciò che senti,
senza l’uso di lenti
basta l’occhio a svelare
come sa la visione
d’una foglia cadente
darti tutto il suo cuore
nella mano che tendi.
Mi sembrò dirmi “Prendimi,”
quella rosa che muore,
“se la morte è la vita
che si stanca d’amare,
non temere lo strappo
necessario a recidermi.
Non lo senti il rumore
nell’immensa brughiera
quando cade nel niente
ogni cosa che c’era?”


Almeno il sentimento

La parola non dice quel che siamo
se si confonde quando cambia casa
e rimane sui tetti appollaiata
col suo verso d’uccello che richiama.
Ciò che dice non resta
dove s’è appassionata, si rimescola
quando scende per strada
e il contorno che ha anche se sfuma
mai si mescola al mare,
né salta su una nuvola e va via,
resta ovunque ci sia
una veglia in cammino che consoli,
che t’irriti o addolori, un movimento
tutto intero del petto che commuova
nel giusto verso almeno il sentimento.


Di passaggio

Eccomi, ma soltanto poche ore
mi fermerò, non posso farne a meno,
dipendesse da me quando sereno
si riveli il soggiorno e non ritorni
quella voglia che viene di fuggire,
per andare lontano, resterei.
Resterei perché è dolce sulla soglia
rivedere che passano i momenti
che ti videro e tu che li vedevi
come nuvole lente che ritornano
da chissà quali mondi. Forse allora
i segreti, le favole, i tuoi sogni.
con il fischio dei treni se ne andavano
per ignoti viaggi e ritornavano
nel mio letto a riporsi sul cuscino
e nel dolce tepore ancora sanno
di vendemmie e di ulivi quei mattini,
di rugiade che bagnano nei campi
le tue corse sull’erba, i tuoi destini.
Forse i fiumi lo sanno quale senso
non vediamo che c’è per ogni vita,
o lo sanno le stelle che s’accendono
nelle notti se alziamo gli occhi al cielo,
forse il vento ha parole che s’appendono
al fruscìo delle foglie o a quel silenzio
sui viali e sui campi pieni d’alberi.
Ora s’è fatta incerta di quegli alberi
l’ombra sul viale che portava a casa,
la folta chioma garrula d’uccelli,
le voci di chi corre tra i binari,
lo scalpitìo improvviso dei cavalli
tenuti fermi al giogo di quei carri
che cigolando davano al mattino
il primo suono ai giorni andati via.
Giorni lunghi talvolta nell’attesa
troppo lunga di te, di quel miraggio
che cambiasse nel volto il sonnolento
giro degli occhi, farsi più contento
e vagabondo il cielo e le sue nuvole,
come noi senza meta e di passaggio.


Tino Traina, medico di famiglia da novembre 2019 in pensione, è nato a Castelvetrano (TP) il 04/11/1949 e vive da oltre quarant’anni a Partanna (TP). Le sue poesie sono raccolte in: Dove finiscono le case (2003) – Sopra l’erba (2012) – Stazione di campagna (Spazio Cultura Edizioni, 2023) https://spazioculturalibri.it/prodotto/stazione-di-campagna/
Sue pubblicazioni presso Il Portone/Letteraria, Edizioni Mazzotta, Centro Culturale Il Golfo.
Scrive sulla rivista Kleos e fa parte della giuria e dell’organizzazione di premi letterari.


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