EROTANASIE-IMMAGINE

Qualunque cosa venga cristallizzata in versi si dice che sia immortale. La poesia ha il potere di eternare cose e sentimenti, di elevare i suoi soggetti in una dimensione quasi atemporale. A patto che i versi siano dei buoni versi, s’intende. È cosa rara, oggi, cimentarsi in forme liriche che non abbiano la sciatteria di schemi alla moda e che ricalchino, invece, modi che hanno sfidato molti secoli, giungendo fino a noi intatti nel loro fascino.

Erotanasie di Giannino Balbis ed Emanuela Mannino è l’originale tentativo di attualizzare una forma che affonda le sue origini addirittura nelle origini medievali della lirica europea. Tentativo riuscito, diciamolo subito. La raccolta di poesie, scritte a quattro mani, segue infatti il nobilissimo modello della tenzone amorosa, uno scambio di liriche tra due amanti sotto forma di dialogo e confronto. Il titolo, arguta trouvaille lessicale, suggerisce già, in nuce, la fusione di amore e morte: Eros e Thanatos, qui da intendersi non tanto come mere pulsioni freudiane (si veda Al di là del principio del piacere) ma come veri e propri archetipi classici, come classico è il tema dell’amore che va oltre la morte.

Si diceva della forma lirica, inconsueta ai nostri tempi, eppure così carica di fascino. Due amanti, celati dietro pseudonimi “parlanti”, come Abbagli insonni (per la parte maschile) e Costanza (per quella femminile), intessono una sorta di epistolario in versi, composto complessivamente da 14 brani che ricordano i “salutz d’amor” della tradizione occitanica e provenzale. Come in questi ultimi componimenti troviamo, infatti, la richiesta d’amore, le lodi nei confronti dell’oggetto amato (si immagini la figura letteraria della “princesse lointaine” a cui sembra attagliarsi Costanza), il ricordo di episodi trascorsi, la descrizione delle pene del cuore. Tutti motivi del resto già presenti, in precedenza, nella poesia trobadorica e il cui riverbero troviamo nella successiva lirica cortese. Dunque per il lettore si tratta di una salvifica immersione nelle suggestioni di secoli lontani, a fronte della prosaicità volgare che caratterizza i tempi contemporanei.

Balbis e Mannino escogitano però uno schema apertamente non verosimile: i due dialoganti sono entrambi morti. Dunque non più semplicemente un uomo e una donna, bensì due anime. La poesia diventa così il medium che fa dialogare gli spiriti, al di là della contingenza terrena. Anzi, che fa dialogare soprattutto gli spiriti.

Lo scambio inizia, con la prima lirica, al tramonto di «un giorno senza nuvole». Un tramonto che non è chiaramente un momento della giornata ma una condizione dell’anima. E sono infatti versi vespertini quelli vergati da Abbagli insonni con cui inizia la sua lamentatio per la lontananza dell’amata, versi venati di rimpianto e intrisi di mancanza. Un punto di partenza. Un inizio, per molti aspetti, in medias res. Nello svolgersi successivo troviamo la ripresa di topoi tradizionali dell’oltremorte: il paradiso, l’inferno e altri motivi cristiani che si fondono, però, in un sincretismo efficace, con reminiscenze mitologiche pagane. Dimostrazione di come il tema amoroso riunisca dottrine anche inconciliabili in un unico abbraccio di significati. L’amore che non vince solo la morte, ma abbatte anche gli steccati culturali.

Fin da subito cogliamo il senso di una musicalità nel ritmo della versificazione, anche attraverso l’uso di cesure e inarcature. Il lettore finisce dritto nella rete gettata dai due autori del testo, carpito dalle suggestioni di una cadenza d’antan che lo strania anche attraverso l’uso di immagini evocative supportate e valorizzate da preziosismi lessicali. La scrittura è infatti sapiente, consapevole, gioca con i paradossi riunendo gli estremi, esaltando e sciogliendo (al tempo stesso) le dicotomie. Nella terza lirica della raccolta Abbagli insonni vede nell’inferno un paradiso, nella beatitudine una dannazione, nella presenza «una disperata assenza», nella morte qualcosa che va vissuta, nel tutto il nulla. Ma questo gioco perdura anche più avanti, talvolta in modo più discreto, perdendosi nell’immateriale, in cui l’amore sa essere anche «spettro ed angelo ad un tempo» (si noti come l’uso delle “d” eufoniche qui renda la cadenza ancora più ritmica).

I caratteri dei due contendenti della tenzone si delineano gradualmente: Abbagli insonni appare più connotato dal pessimismo, apportando al dialogo una componente di spinta entropica, Costanza (“nomen omen”, direbbero i latini) sembra svolgere un ruolo più armonizzatore. Alla postura più virile del primo fa riscontro la grazia muliebre della seconda. Sono tuttavia caratteri mai del tutto netti: nell’indistinzione di una dimensione ultraterrena ogni cosa sfuma. Come sfuma la percezione temporale. Il tempo cessa di essere una variabile certa: «il passato è passato / ed è futuro insieme», dice Abbagli insonni nella quinta lirica. Un tempo non misurabile, non scientifico. In questa estensione puramente umorale il dialogo snoda un percorso a ritroso nel tempo, ma nel tempo assoluto, non nel tempo dei due dialoganti. Affiorano così, in una cronologia indistinta, memorie e reminiscenze di personaggi che attraversano i secoli e diventano simboli, archetipi. E, in quanto tali, Euridice può incontrare Emily Dickinson, Isabella di Morra si affianca alla Susette amata da Hölderlin.

Erotanasie di Giannino Balbis ed Emanuela Mannino insegna, del resto, che l’amore è trascendenza e insieme immanenza, è ricordo di una carnalità che oltrepassa la sfera fisica, «che se la Carne è ormai muta cenere / e stelo di Fiore d’Anima / brama ancor più Tutto oltre Tutto» (Costanza, 10).

Lo stile di scrittura è uno dei punti di forza del libro. Nell’intero svolgersi dello scambio poetico tra i due interlocutori si coglie il gusto raffinato e sapiente del gioco linguistico per creare suggestioni semantiche, come quel «d’io» che si declina con «Dio» (Abbagli insonni, 5), o come «diamante» che si scompone in «amante di» (Costanza, 6). Segni tangibili di una consapevolezza lessicale che si apre non solo al piacere ludico della sperimentazione del verbo ma anche al sottile messaggio subliminale. E poiché la parola è anche suono, i versi sovrabbondano di richiami sonori, allitterazioni, riverberi e ripetizioni retoriche. Ricorre, soprattutto in Costanza, la suggestione del repetend, tipico delle ballate anglosassoni che qui si coniuga perfettamente al modello occitanico e provenzale: «Sento tutto il tuo strazio / la tua pena della carne perduta, / la mia carne – della tua / la mia pena» (Costanza, 4). E poi l’uso frequente di rime terminali e rime interne. Ad esempio, nel sesto intervento l’incalzare di Costanza assume tratti virtuosistici, anche a livello fonetico, con forti consonanze (esempio: “occulti” – “tocco”) che diventano rime (esempio: “semprelutto” – “frutto”), anche interne (“rose” – “spose”) che intrecciano allitterazioni (come il sofisticato mitacismo “marcia” – “marcio” – “millimetro di marmo”). E altro ancora in una preziosa tessitura di fili retorici che è inutile qui elencare nel dettaglio.

Nel cadenzato botta e risposta della tenzone poetica, sulle nuvole della sospensione amorosa, si arriva all’undicesimo componimento con il completo disvelamento della morte di entrambi gli amanti. Una morta immersa nella cristallina sorgente della mitologia degli antichi. La straziante lamentatio di Abbagli insonni si ammanta così di un’aura neoclassica, che riverbera la nobile lezione della nostra poesia ottocentesca ma attualizzata da forme moderne di dolore e di lutto. La risposta di Costanza all’invocazione del suo uomo è scritta lapidaria sulle tavole dell’accettazione di un inevitabile destino: «Plàcati, ti scongiuro / Ch’io ho un cammino da compiere / – senza il tuo volto». Non è svanito l’amore, che anzi si rinfocola nelle rose che, tra le mani di lei, da nere tornano rosse. Ma si avverte il senso di una consapevolezza dell’inevitabile: «Ho fatto pace con Caronte / e Cerbero mi sorride», dichiara Costanza. Ma questa è anche, al tempo stesso, la consapevolezza che Eros sopravvive a Thanatos, perché il destino non cambia il sentimento, modifica semplicemente le prospettive, come quinte scenografiche che mutano scenario da un atto teatrale all’altro. Thanatos, con la sua implacabile mano, ha reso l’amor sensuale un amore poetico, ovvero ormai «labbra che giammai si sfioreranno» (Abbagli insonni, 13).

Erotanasie è un libro breve (in realtà della lunghezza giusta per un’operazione così sofisticata) ma denso di contenuti. Con le sue pagine invita il lettore a entrare nelle pieghe di ogni singolo verso, alla ricerca di significati e significanti, più o meno occulti. Una sfida stimolante e potenzialmente infinita, una sorta di caccia al tesoro che al lettore volenteroso, con il gusto del puntiglio enigmistico, può riservare gioie sorprendenti e nascoste che una recensione non può esaurire. Dopotutto, come sentenzia Costanza nell’ottavo componimento, «siamo arabi mosaici / allo zenit del Mistero».

Giorgio Leonardi


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