*

Il romanico aveva ragione:
si piegava sul vento
lo proteggeva

rifiutava il guizzo
metteva in esilio Dioniso
le screziature con cui irretiva il tempo.

Il romanico calava nella notte
la accarezzava con mano calda
ma ora non è più tempo:

la storia si nutre di memoria
l’ora il qui scappano
la corsa ha preso il sopravvento.

Non è più tempo di cose tonde.

*

Kobane, 2019

Aspettami fra il Tigre e l’Eufrate.
Ovvero quel punto della terra
triangolo da cui parte la retta
della storia

io sono una guerriera silenziosa
ma so che qui è nata ogni cosa

aspettami, dico, e troverò il modo
di ricostruire tutto

un fucile
il sogno di un noi

quello che è stato è stato
ma è così aperto, non protetto, disarmato…

*

Chissà se davvero gli iris esistevano
in qualche modo
(non loro, quasi loro)
gli iris che vivono con poco
ai tempi dei dinosauri e dei rettili
chissà se tutto non era calcificato
il melograno, questo odoroso
modo di dire guardami
ci sono esisto
io che protendo non braccia non mani
ma dita
fossili lunghi estesi sul mondo.

*

La catastrofe è già passata
attendiamo le prossime
la pelle è sempre la stessa
nello stesso modo si tende e si rilassa

sprofondare in questo tempo
dividerlo in segmenti
soffiarli via
liberarsi di tutti i pesi

La catastrofe è già passata
e sotto le pietre
le erbe spontanee tornano a soffiare la vita.

*

E poi ci fu la colata
intinta di neve la visione
che crebbe di paglia
vestita di paglia e diorama
un animo fossile da stringere negli occhi
le mani lasciate cadere
capacità di accarezzare sfiorare
intinta di neve la visione
e paglia da gettare sotto i piedi
per arrivare in un luogo in cui dirsi vivi e morti
intinta di neve e ancora bella da stringere
una cosa che cresce che vive e che si congela
intinta di neve come non vita
che vive e non vive che spinge smarrita
che scalcia di notte e fa sentire
una preda dimentica e intinta di biondo
impagliata semiviva oltre la deriva
intinta di biondo di paglia di vita che era
a margine a bordo a piega di mondo
intinta di neve intinta di sangue intinta di verde di bosco e di marcio
parole che cadono che nutrono e spolpano
la carne spinta sull’orlo del sangue
e allora vissuta su paglia e seccata
può dirsi per sempre può dirsi per sempre?
intinta di neve sbiadita di neve
la vita la vita che sbanda smarrita
la biada ai cavalli, un nesso mancato
un solido tremante smarrito ungulato
linguaggio che bolle che scalcia e poi secca
bestia ferita e passata ad altra vita
la vedi in un cerchio, la vedi fissata
bloccata in un quadro, è davvero mai nata?

E le cose visibili diventano invisibili
e le cose invisibili diventano visibili.

*

Laura Di Corcia, Diorama, prefazione di Filippo Tuena, Edizioni Tlon, 2021

Laura Di Corcia è nata a Mendrisio nel 1982 e vive nella Svizzera italiana, dove lavora come insegnante. Collabora con varie testate giornalistiche e radiofoniche in qualità di drammaturga e critica letteraria e teatrale. Ha pubblicato la biografia critica Vita quasi vera di Giancarlo Majorino (La Vita Felice, 2014) e le raccolte di poesia Epica dello spreco (Dot.com Press, 2015), In tutte le direzioni (LietoColle, collana Gialla-Pordenonelegge, 2018 – finalista al Premio Maconi e al Premio Fogazzaro) e Diorama (Edizioni Tlon, 2021), che ha vinto il Premio Terra Nova 2022 della Fondazione Schiller di Zurigo.

Foto dal sito del Comune di Vacallo


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