Vivo la poesia come un mezzo, uno strumento discreto e allo stesso tempo meraviglioso che mi permette di raggiungere in rari, privilegiati istanti delle brevi sintesi tra i differenti moti che agitano l’esistenza; di condensare in piccoli grumi di senso e suono le diverse dimensioni che compongono un io frammentato e confuso, che attende e ricerca, si muove e si ferma. Essa è per me una sorta di ponte tra razionalità e incoscienza, un prezioso fiore nutrito dagli scoli di grondaia del quotidiano da cui sorge, una sorta di rito laico per dissolvere il proprio ego nella sinfonia, affascinante e terribile, dell’universo e riscoprirsi così come semplice tassello di un mosaico che ci completa e ci trascende.

In un tuo volo

Se fossimo vapore, come nuvole
sapremmo attraversare forme e cieli,
ammorbidire i segni, arrotondarli,
potremmo fare a meno di parlare.
Ci basterebbe piovere ogni tanto
sui prati, sui tuoi tarli, i continenti
oppure sfilacciarci lenti e bianchi
sui mari che respirano alla Luna.
Se fossimo vapore e non in questo
giro sordo in cui scorrono le vite
attorcigliate a date e a situazioni,
potremmo continuare anche a sorridere
se sfuma un’altra estate, invecchia il mondo
e tu non sei ora qui, ma in un tuo volo.

Per i primi e per gli ultimi freddi

Ho costruito un bozzolo
più caldo per gli inverni,
l’ho fatto con le luci
del Sole del tuo Marzo
che resta giù, protetto
nel petto e nelle mani
per quando non ho guanti
né forza nella gola.
È fatto di silenzio
infatti, e del profumo
candido delle gerbere
e di cielo. Potrebbe
tornar buono per vincere
ogni gelo, ridare
un angoletto ai sogni
nei pensieri, per stendere
un po’ il fiato, lasciare
un altro giro al mondo
e al tempo che perdiamo.

Tanto ormai

Tanto ormai non è proprio più possibile
rimescolare il mazzo e dopo fingere
che manchi ancora un giro, un’altra mano
in cui il destino sia svagato, guardi
altrove, mentre i segni miei ti chiedono
la carta che ribalti la partita,
ridistribuisca gli astri, le puntate
e i giocatori. È tardi ormai per vincere,
è tardi anche per perdere, ma resto
ancora al tavolo convinto, lascio
al banco la sua quota senza chiedermi
se valga o no la pena dissipare
ogni sospiro attorno alle tue scie
di stella che può luce a intermittenza.


Alessandro Barbato è nato a Roma nel 1975. Specializzatosi in Antropologia sociale e Storia delle religioni presso l’EHESS di Parigi, si è dedicato allo studio dei rapporti tra nuove scienze umane e letteratura, pubblicando diversi studi e saggi. Collabora con il blog dedicato a Pier Paolo Pasolini «Le pagine corsare» ed è stato membro del comitato di redazione della rivista di settore «Civiltà e religioni». Appassionato di poesia contemporanea, ha pubblicato liriche su rivista, blog letterari e nel 2019 la silloge Il fiore dell’attesa, confluita nel 2020 nella raccolta Solamente quando è inverno. Nel 2022 ha visto la luce la raccolta poetica La mimica dei mondi (qualche poesia fuoritempo), edita da Controluna; mentre nel 2024 è uscita la sua ultima silloge poetica, Piccola mappa per giorni comuni.
Attualmente insegna materie letterarie presso le Scuole Ebraiche di Roma.

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