*

Ogni tanto, quando scrivo “quantomeno”
mi esce “quantomento”.
E questo accade spesso
a meno che non faccia più attenzione.
È un refuso acquisito con l’esperienza
un tic tenace in cui sembro al sicuro.
Spero che scriverlo mi aiuti quantomento
a capire quanto mento quando scrivo
agli amici che tra scrivere e non scrivere
non corre differenza, che posso stare senza. 

*

Come un leone scappato dal circo
mi aggiro tra le vie residenziali: parchi giochi, benzinai
un numero infinito di cancelli e siepi basse.
A chi crede che io cerchi qualche preda 
che mi senta dominante, che sia evaso da qualcosa
voglio dire vi sbagliate, smettete di tremare alle finestre
muovetevi a chiamare i poliziotti.
Sto cercando solamente il posto adatto 
dove attendere lo sparo sedativo
che mi renda inoffensivo più di quanto non lo sia.
La gabbia a cui ritorno è meno grande 
meno assurda della vostra.

*

Cammino per ore nel freezer no frost del mattino
tra pezzi di carne indistinta e bottiglie d’amaro
la strada si apre a ogni passo e mi chiama
con nomi inventati, il telefono è a casa
si carica piano sul pouf, sta lì che mi aspetta.
Tornato, mi accoglie con luce sensibile, dice
che hai fatto finora, Pedometro conta
kilometri zero, sei sotto la soglia dei passi
sei grasso ma non te lo dico, ti mostro soltanto
obiettivi che tu stesso hai deciso e impostato
quel giorno lontano che hai dato il permesso
hai detto distratto sei mio, ti appartengo

*

Ho un quaderno su cui scrivo se mi accade di squamarmi.
Si può dire che è un quaderno in vera pelle.
I singoli brandelli danno forma al volumetto: più mi sgretolo
più spazio avrò per scriverne, almeno fino a quando
non si estingue la specie singolare a cui appartengo solo io
assurdo ed esclusivo come un codice fiscale.
Quintali di particole di carne, che anno dopo anno
ho ricucito a filo refe in sedicesimi.
Se cadono le placche più ingombranti per un sisma
il sangue si riversa sulla pagina formando
macchie brune tipo Rorschach che gli esperti
sono pronti a analizzare immantinente: e che gli devo dire?
Le ipotesi sul mio disfacimento sono giuste, quasi sempre. 

*

(insistere a inesistere)

I

La fine del messaggio mi trasforma in un fantasma:
da ora posso dirti cosa sentono le pietre sotto il mare.
Costringo le mie gambe ad incrociarsi, e non è facile. Tu… fantasmi.
Intendo dire: tu stai fantasmando, la carne del tuo nome
si è fatta evanescente. Per quanto io mi sforzi di negarlo
sparisce chi decide di sparire: insistere a inesistere è un mestiere
forse un’arte.

Bernardo Pacini, Ipotesi sul mio disfacimento, postfazione di Andrea De Alberti, Mar dei Sargassi, 2024

Bernardo Pacini è nato nel 1987 a Firenze, dove vive. Si è laureato in Filologia moderna all’Università di Firenze. Ha pubblicato i libri di poesia Cos’è il rosso (Edizioni della Meridiana, 2013), Perfavore rimanete nell’ombra (Origini Edizioni, 2015), La drammatica evoluzione (Oèdipus, 2016), Fly mode (Amos Edizioni, 2020) e Ipotesi sul mio disfacimento (Mar dei Sargassi, 2024). Nel 2019 è stato incluso nell’antologia Poeti italiani nati negli anni ’80 e ’90 (Interno Poesia). Ha tradotto con Clarissa Amerini i poeti Bill Knott (Volarsi dentro, Italic Pequod, 2022) e Russell Edson (Il tunnel, Taut, 2022), con prefazioni di Charles Simic. Nel 2021 ha cofondato la rivista lay0ut magazine.


Scopri di più da larosainpiu

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.