
Dalla prefazione di Franca Alaimo
[…] la scrittura poetica di Di Bella potrebbe sembrare una forma di autoanalisi, in cui non si tace né della sofferenza mentale (‹‹Nevrotica per sempre avrò quest’anima / radice di veleno e di cristallo››), bisognosa di psicofarmaci (‹‹Serotonina o Valium è lo stesso / evocherei anche un Deva se servisse››) pur di raggiungere uno stato di ‹‹calma e ottundimento››, né discordanze di comportamento o di pensiero, e soprattutto del reiterato isolamento dal mondo o Drop out (così come titola un poemetto): ‹‹Così era tutto logico ed ammesso / fuggire dalle appartenenze umane / che fossero filiali, di patria o amplesso / e trasgredirne regole e morale››. E tuttavia, tutto questo dolore dell’io poetante, di cui si fa metafora la devianza etico-estetica della realtà esterna (‹‹tutto un mondo / corroso ed ossidato di speranza››), non riesce a recidere né il godimento oculare o uditivo del bello, né la dolcezza di certe fughe oniriche, né il desiderio amoroso … la qualità e il tono della scrittura poetica di Giuseppe Di Bella: densa, spesso elusiva – laddove la mancanza di una scansione interpuntiva o la collocazione e/o accostamento delle parole riescono ad aprirsi a diverse significazioni -, essa sembra aggrovigliare in sé stessa le innumerevoli sfaccettature di una personalità che, accogliendo nei versi tutte le numerose letture, le esperienze biografiche, la terminologia musicale quotidianamente praticata, si offre al lettore in modo spesso provocatorio o contraddittorio, in un continuo alternarsi di luci ed ombre, di tenerezza e crudezza, che danno vita ad una traiettoria sorprendente, dalla carnalità più accesa e terrena ad una sorta di ascetica contemplazione o sospensione. […]
Rimessa
La casa di campagna aveva un lato
tutto rivolto al sole
da cui si usciva alla veranda verde
che figurava il salice
come una tana fluorescente, cupola
in cui giocavo solo.
Gli zii, gli amici e i genitori giovani
seduti sulla staccionata e noi
slegati oltre il recinto coi puledri
Shamir, Ginepro, Omar e Isabeau
dai nomi arabi e francesi
per ricordare tra la griglia e il fango
la nobiltà normanna dei padroni
oltre il feudo che allude alla natura.
Non è più stata paglia quell’odore
né i nostri giochi erotici sorpresi
dall’improvviso irrompere dei padri
al piano superiore della casa
quello tutto severo di mobilia
in toni di amaranto e di marrone,
e con la stessa forza perentoria
che mise un marchio rude ai nostri giochi
il vecchio governante della magione
porse i morsi dei cavalli nella rimessa.
Si esprime solamente in frenesia
pensiero laterale, quella scia
di libertà e di vita, in qualche istante
nei minimi momenti di attenzione.
E la mia storia è tutta in quel riflesso
tutto il mio sentimento del presente
in quella goccia verde di splendore.
XVI
Ora comprendo la saggezza
di quello che rimuovi e che nascondi
quel velo
d’angelica bellezza se sei stanca.
Neve
Ho scoperto solo uscendo che fuori nevicava
e il cane era una volpe, la strada un quadro russo
nel silenzio che estendeva fino a me le voci
dalle auto, in un continuum.
Ma la tua icona era la stessa, persa
da quando qui non era altro che il mondo
e ogni balzo stanco e rumoroso
si alzava e consumava in un vangelo.
Non c’è più niente, adesso, a parte il soffio
di una volta gotica ad arcate
che stende la sua ala sulla notte
come se fosse vero che noi siamo
opera, testimonianza e scelta
e non destino emerso, acqua d’inconscio.
Non ci sarà più spazio, dopo
non ci sarà nient’altro
che la violenza estetica del mondo.
E me, che non perdono, e lei che dice:
“io sono la realtà, non sono un sogno…”.
Dalla quarta di copertina di Giovanna Rosadini
Oscilla fra luce e ombra questa seconda silloge poetica di Giuseppe Di Bella, compositore, cantautore e poeta siciliano. I “veleni e contrattempi” del titolo rimandano alla citazione di Paul Éluard posta in epigrafe, che suona già come una dichiarazione d’intenti: sono il contrappeso che grava la vita in mancanza d’amore. E proprio nella tensione all’amore si rivela la luce che irrora i versi del giovane autore, mossi da un nucleo di oscurità coincidente con un trauma originario […]
Giuseppe Di Bella è compositore, cantautore e poeta siciliano. Ha prodotto diversi lavori discografici e libri, tra cui Il tempo e la voce (lavoro di traduzione in volgare siciliano del ‘200 e musicalizzazione di 12 liriche della Scuola Poetica Siciliana) e Orfeo, un concept album sul mito in forma di melodramma contemporaneo, entrambi finalisti di diversi premi nazionali tra cui il Tenco e il Parodi e il disco Sette Arcangeli pubblicato nel 2021 con l’etichetta di musica classica contemporanea Almendra Music. Dal 2008 al 2012 ha collaborato con la casa editrice bolognese con-fine; come redattore capo della rivista omonima, e diretto assieme ad Alex Caselli una collana di poesia che ha pubblicato diversi poeti della sua generazione. È stato recensore per l’Annuario critico di Giorgio Manacorda. Nel 2011 ha pubblicato il suo primo libro di poesia Le gradazioni del bianco, Premio Nazionale Gesualdo Bufalino presso l’Università di Catania, e nel 2018 il libro cd Fuddìa per la casa editrice Le Fate.
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