*
A.
“Se dovessi indicare un inizio,
direi che è questo, lo spettro,
un fantasma che arriva,
e sai che arriva quando è già dentro,
uno spazio mai chiuso
che delimita lo scontro,
un costume mai dismesso
che ti disegni addosso,
mentre stai per dire la tua,
sei lì che balbetti la battuta,
con lo straniero sul volto,
un barbaro al centro del mondo,
mentre impari il come, il segno,
e il suono, del suo nome.”
*
A.
“È sempre un ripetere negando
il buco nero che ci sta accanto,
non certo lo spazio profondo,
ma il dentro, il mostro quotidiano
che dice: esisto, ti vedo.
Così veniamo al mondo,
distruggiamo il mondo,
con un solo gesto, lo stesso,
il passo che crea lo spazio,
la pagina che riporta a casa;
è un incedere spezzando
la voce che si piega a chiasmo,
un nastro di Mӧbius, che inizia
lì dove finisce la vita.”
*
Ricorda la morte del padre,
l’agonia sul letto nuziale,
la madre da un lato, lui dall’altro,
il rantolo che diventa respiro,
nelle orecchie di lei, un suono antico,
lo stesso dei progenitori che lasciano
il mondo per finire dietro il paesaggio,
dietro lo sguardo. «È così che succede?»
Ora si chiede.
“Si scioglie prima il vedere,
la flebile idea che ci sostiene,
poi l’ambiente si paralizza
in un bianco uniforme, senza vita,
e lì dietro c’è davvero il nulla?”
*
«È questo il dramma,
se pensi al vuoto, lo riempi,
e resti solo in mezzo alla scena
magari meno solida,
e tu meno fermo,
come un cucciolo d’uomo,
come il primate nella caverna
che disegna sulla parete
la dinamica della caccia,
il felino pronto all’offesa;
resti ciò che sei, l’essere-di-mezzo
che graffia la roccia,
segna il solco sul muro
dal quale parla il buio.»
*
«In questo spazio provvisorio
ti muovi seguendo la traccia,
autore della tua ombra,
avanzando con le madri,
in attesa della nuova minaccia,
che la scena crolli dalle loro braccia,
che il risvolto del mondo si riveli
e dica ciò che sei,
cos’è questa linea di parole,
la sintassi elementare,
la finzione ancestrale,
che viene prima, ancora prima,
di ogni vittoria, di ogni sconfitta,
prima del predatore e della sua preda.»
*
Vincenzo Frungillo, La luce dell’eclissi, nota di Ivan Schiavone, La Vita Felice, 2025

Vincenzo Frungillo è nato nel 1973 a Napoli, dove vive. È poeta, scrittore e saggista. Si è laureato e ha conseguito il dottorato in filosofia teoretica presso l’Università Federico II di Napoli. Ha pubblicato i libri di poesia: Fanciulli sulla via maestra (Palomar, 2002), Ogni cinque bracciate. Poema in cinque canti (Le Lettere, 2009), Il cane di Pavlov. Resoconto di una perizia (Edizioni D’If, 2013, Premio Russo-Mazzacurati), Le pause della serie evolutiva (Oèdipus, 2016), Prime scene di caccia e di morte (Zacinto, 2021, Premio Città di Como), Gli immortali (Ilfilodipartenope, 2023), Cani, gatti, topi vegliano sulle necropoli (Valigie Rosse, 2024, Premio Ciampi poesia) e La luce dell’eclissi (collana Adamàs, La Vita Felice, 2025). È autore dei saggi, Il luogo delle forze. Lo spazio della poesia nel tempo della dispersione (Carteggi Letterari, 2017), Il rischio e la perdita. Su identità e linguaggio in Martin Heidegger (Mimesis, 2022). Ha pubblicato il romanzo Un nome in meno (Ensemble, 2019) e il testo teatrale Spinalonga. Una drammaturgia sulla corruzione (Zona Editore, 2016). È codirettore della collana di poesia contemporanea Adamàs per La Vita Felice.
Foto di Ivan Nocera
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