
Per me la poesia è incontro tra i suoni del cosmo e i suoni delle parole. È armonia, rigore, giusta distanza tra le cose. Oggi fare poesia è resistere alla superficialità, all’incuria, alla volgarità, all’arroganza. Al potere.
Peppino che sapeva le lune
Omino di pane cotto,
dalle pieghe della pelle
di vacca bruna e vecchia
ho tolto un’altra pustola
stanotte,
ma era un raggio di spiga.
Sorridi?
Ti pende ancora l’ultimo
chicco giallo di pannocchia.
Voce di ricotta
che sai le lune,
di’ pure a me
quale sarà la nona.
Oggi, come sai,
sono tutte frettolose
le gatte.
La strega
A volte fa più nera
la notte una febbre,
un tonfo, il grido
rasposo del barbagianni
sotto un’unghia di luna.
Dov’era l’albero resinoso
gioca a bocce la strega
col tuo cuore randagio.
La voce di mio padre
Ho sognato la tua voce,
parlavi del più e del meno.
Uno forse si aspetta
dai morti parole austere;
era il tuo invece un dire
come quando a casa
seduto spicchiavi le fave.
Salvina Chetta (Palermo 1982) vive a Mezzojuso (PA). Si è laureata in Lettere moderne ed è insegnante di Sostegno nella scuola primaria. Ha fatto parte della Compagnia del Teatro del Baglio di Villafrati (PA). Studia fisarmonica e si interessa di musicoterapia. Ha pubblicato alcuni saggi sull’emigrazione siciliana in Tunisia. Per la rivista “Nuova Busambra” ha curato la rubrica “Nivura simenza” sulle scritture popolari.
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