
Sono i miei versi.
Come un raglio. Un garrito.
È il mio verso.
Cerco la precisione della parola. La sua esattezza sintetica. Mi piace che il testo sia specchio nitidissimo del sentire.Scrivere. Come il tiro con l’arco
Dire. Poi dire meglio
Circoscrivere
Mettere a fuoco
Arrivare all’essenziale
Mirare alla mia vulnerabilità
Al battito interiore
Fare coincidere il dentro con il fuori
Ciò che profondissimamente sento a ciò che dico
Questo è l’equilibrio
Adesso
Soltanto adesso
Scoccare
Cerco la musicalità. Perché le nenie cullano. Perché i canti riparano e celebrano.
Scrivo da molto tempo e nel tempo è mutato ciò che cerco nella parola.
È stata salvezza. È stato l’unico modo di relazione con l’esterno. È stata grido. Riscatto. Elaborazione degli abbandoni. Trasformazione delle sofferenze e delle inquietudini. È stata cura.
Adesso è divenuto un modo inarrestabile di pensare. Di mettere ordine nella confusione che ho in testa e darle significato.
Non elogio il dolore, mai. Ma quando lo si prova, attraversarlo con la parola è salvifico.
Ho una scrittura, semplice, delicata, diretta, spesso malinconica.
Sia nelle poesie per bambini che in quelle per adulti, scrivo spesso dell’ombra. Perché in quella zona di incertezza e di sconcerto, trovo spesso la comunanza, la relazione. Mi sforzo di puntare la luce definita della parola nei tratti di oscurità della vita. Dell’essere.Cerco di dire il dubbio, la fragilità, la multiformità dell’amore. Tento una scrittura che offra rifugio. Sentimento. Verità.
Mi piace quando scrivere diventa un atto improvviso di rivelazione. Per me e per chi legge. Portare alla luce pensieri condivisibili, profondi, riparatori. Cercandoli tuttavia nei dettagli semplici, nelle cose piccole che ci toccano tutti. Celebro la delicatezza e la durezza, nello stesso istante. Ombra e luce, come necessario equilibrio. Un pennino di ovatta intinto nel nero della realtà. A volte un bisturi bagnato nell’arcobaleno.
Il commento più bello che mi si possa fare è “Mi hai compreso. Hai scritto ciò che anch’io sento”. Questo mi indica la direzione.
Ho la ruvidezza della bestia in gabbia
La rabbia del cane alla catena
La diffidenza del bastardo
La selvatichezza del randagio
Pure, vorrei da te una carezza
Vorrei i tuoi occhi nei miei
Vorrei mi lanciassi un osso di bene
Un nome da riportare ai tuoi piedi
La lingua tra i denti, ansante
per il premio d’un “brava”
Vorrei il tuo odore, addosso,
e che fosse ritorno
Instancabile
Indecente
è la caparbietà del cuore
*
Tocca farsi la poesia da sé qui nei ceti bassi
Tocca disegnarselo da soli l’arcobaleno
Le scarpe vecchie e la carne a poco prezzo
Gli appunti scritti dietro le bollette
E l’amore cantato con la radio
A squarciagola
*
Preferisco le parole piccole.
Ad esempio “Ti amo” non l’ho mai accolta veramente, come espressione. Non ci ho creduto fino in fondo. Mi pareva troppissimo per una come me. Che mi si amasse mi pareva esagerato. Credevo di più alle frasi piccole. “Vuoi il mio maglione?” “Ti è arrivata la mia lettera?”
Tutte le parole altisonanti mi danno diffidenza. Non parlano a me. Non sono cibo per la mia anima.
Forse perché in casa mia si parlava facile e persino il dolore aveva poche sillabe.
Forse perché nei libri io trovavo fuga, riparo, ma ne sapevo la finzione.
Forse perché dagli incubi mi salvavano le canzoni, strofe banali ma che mi rifugiavano
Forse perché più parli più menti, così ho imparato
Non le voglio le parole grandi
A me vanno bene i discorsi dei vecchi
Le fusa dei gatti
Il balbettio dei bimbi
e tu che mi guardi andare via dicendomi “Chiamami quando arrivi”
Sono nata a Bologna, nel 1964.
Non sono cresciuta leggendo Emily Dickinson, ma ascoltando Guccini.
In casa mia non c’erano libri (qualche sparuto volume della selezione del Reader’s Digest, a testimonianza del desiderio irrealizzato di mio padre di poter studiare) e anche il pane scarseggiava.
Mia madre donna di servizio, mio padre operaio metalmeccanico. Due dolori. Due solitudini.
Anche oggi fatico ad arrivare a fine mese ed i libri li posso prendere solo in biblioteca. Mai avuto un’automobile e i vestiti, sempre di seconda mano. Per questo la mia poesia “si capisce”.
Altro io non saprei, né vorrei francamente.
Dedico la mia scrittura a quelli che, come me, zoppicano su un’ala sola, oscillando tra innocenza e spavento.
Ho pubblicato dieci libri di poesie, alcuni per grandi ed altri per bambini, con Gribaudo, Secop, Terra d’Ulivi, Mondadori e Zona Contemporanea.
Questa è la mia pagina pubblica di scrittura: https://www.facebook.com/lippariniroberta