RICCARDO OLIVIERI DELLA POESIA DICE

La sola risposta che mi viene da dare ogni volta che mi viene fatta una domanda come questa è la risposta che diede Franco Loi a Torino nel 1997, all’Unione Culturale. Gli chiesero “Chi è il poeta?”, e lui, con grande naturalezza e certezza disse: “Il poeta è uno che impara le cose dopo averle scritte”. Quella risposta risuonò in me 28enne ed è qui ora con me mentre oggi vi rispondo.

La tecnica? Certo, cose che si imparano e migliorano in anni di letture (e un poco di scrittura). Ma il punto vero, il punto dirimente è lì, nella necessità – per definizione improvvisa e non programmabile – di dire una cosa precisa, arrivata per conto suo. E dopo, di guardarla sul foglio e – se non è da buttare – dire “eccoti, grazie”. Poi inizia il lavoro tecnico e artigianale. Ma il nucleo no, il nucleo o c’è – e viene da sé – o non ha senso scritto volontariamente.

LA SUA POESIA CI DICE

Da Diario di Knokke, Ed. La Nuova Agape, 2001 :

Il lupo è un animale fedele,
capace di guaìre notti intatte e inascoltate
                                                ma convinto,
soffrire certo – anche per amore –
dilaniare carni in causa e piangere durante,
respirare l’aria fatta sangue
            e non prendere più sonno.
Il lupo sente tutto il polmone nella corsa,
il terreno prendere l’appoggio sulle belle zampe,
il ventre atterrarsi aggioiato sul cumulo di neve
                        e tra il fiato attendere compagni.
Il lupo è un animale sociale – lo si sa – ma
niente peggio di quei documentari sopra i lupi
fatti di leggi distinzioni regole del branco; un lupo è
                                                                       altro:
 silenzio, amore, zampe.
***

DIALOGO SULLA POESIA da Restare vivi, Passigli Editori

Al veleno di fare
contrappone il suo segno,
piano talvolta,
altrove arruffato e balordo,
salvifico sempre.

‒ Allora la poesia è pace…

‒ No, la poesia è arma,
inaudito taglio al male intorno,
fendente, condotta, varco d’aria,
respiro ‒ sì ‒ respiro, è
la parola più pesante, tutto
tranne evanescente.

***

LA MIA NEVROSI da Restare vivi, Passigli Editori

per lei

Stamattina l’ho vista.
Mentre le davo in pasto un altro gesto.
È una femmina vorace,
una scimmia mangiatrice,
mi ha sorriso soddisfatta
e aveva la faccia di mia madre,
la maledizione di mia nonna,
i colori di mio padre
Ma poi mi sono girato:
Abito la casa rossa di una strega
che mi ha dato un figlio con la mano d’argento.
Finché starò con loro
sarò vivo.

DICONO DI LUI E DELLA SUA POESIA

Viviane Lamarque. Un poeta la cui voce leggo e ascolto da anni con attenzione. Chi ha attraversato quelle strade disperate, nei versi di Olivieri le riconosce tutte, una a una.

Giuseppe Conte. Formidabile per pathos e chiarezza, qualità che io credo saranno le vie guida della poesia del XXI secolo.

Claudio Damiani, dalla prefazione di “Restare vivi”, Passigli editori. Colpisce di questo libro, fin dalle prime poesie, il «tremore nascosto di ognuno», oppure, similmente, un «delicato immortale brulichio / di fronte al mare». Un vibrare che pervade tutto, come il respiro del tutto (come se il tutto fosse vivo, come vivo è ogni essere particolare).
Al terrorista che uccide Olivieri scrive: «Caro terrorista (…) respira, ricorda di come tua madre ti teneva la mano». Ma non solo la madre, ogni cosa tiene per mano un’altra cosa. Questo è il tremore. Al terrorista Riccardo dice: non puoi uccidere nessuno, anzi, lo tieni per mano. Anzi,
lui ti tiene per mano. Se non ci fosse lui, tu non potresti essere.
Riccardo osserva, ogni verso è un’osservazione, di cose semplici e quotidiane, una persona, un gesto, gente in tram o per strada, e l’immagine si illumina come di una sabbia d’oro che rivela il sacro dell’essere. E nasce, immediata, una preghiera. Ecco, sono tre momenti: osservazione, illuminazione, preghiera. Preghiera per i vivi, ma anche preghiera per il tutto, perché il tutto protegga i vivi, e i vivi proteggano il tutto. Riccardo osserva i vivi, e anche al di là dei vivi, osserva i morti. E i morti ci osservano, noi che ancora restiamo, noi che «restiamo vivi». E anche loro pregano, per noi.
Infatti noi tutti «restiamo». Resta infatti il figlio, poi che muoiono i genitori. Resta il padre, mentre il figlio cresce («la tua corsa la mia vita nuova»). Osserva il figlio che fa colazione, e sembra un quadro, con dietro «la collina illuminata di Torino», e la città che sale («una città tutta che soffre, e però / questa mattina sale»), anche lei «fa colazione in quella luce». C’è sempre, in Olivieri, questo essere tutto avvolgente, jasperiano (il grandissimo), che avvolge e abbraccia gli esseri. Non c’è solitudine, c’è sempre il tutto avvolgente accanto a noi, che ci guarda. L’osservare di Olivieri è un sentire più che un vedere («Non fidarti del tuo occhio, poeta, non cullarlo (…) chiudi il tuo occhio»). E anche ascoltare. Osservare è, essenzialmente, accorgersi: c’è una poesia che si intitola proprio così, Accorgersi: «Ascolta, nel silenzio della bottega / l’uomo che incarta la carne. / poi parla amabilmente. / fuori il sole è bellissimo.
/ Questa è la pace». […]

RICCARDO OLIVIERI E I POETI “INFLUENCER”

Certamente tutto il primo e secondo Novecento italiano, in particolare, sul sedimento d’oro di Montale e del primo Quasimodo (Ungaretti e Saba – diversissimi tra loro – pure meravigliosi, ma alla fine la traccia indelebile in me è quella degli altri due) dal secondo Novecento: Sereni (tutto, con gioielli assoluti da “Stella Variabile” e “Gli strumenti umani”, ma poi la partita di calcio del “Viaggio in Algeria”, la seconda poesia della prima raccolta “Frontiera”, … ) , Caproni (tutto. Ossidiana musicale. Ho ancora negli occhi e negli orecchi il suo carabiniere sconcertato dalla ragazza di schiena che sale e i suoi tacchi in un vicolo di Genova …), Penna (certe pennellate inarrivabili, come il berretto rosso del ragazzo che lo perde in acqua – vado a memoria), Carlo Betocchi e certi suoi tetti rossi, il Bertolucci del “Viaggio d’Inverno”, “Nel Magma” di Luzi, e poi – più avanti – Erba, Sinisgalli, Ermanno Krumm (“Animali e uomini”) Giuseppe Conte (e il suo capolavoro “L’Oceano e il Ragazzo”, ma anche parecchie cose successive), il Rondoni de “Il bar del tempo” in particolare, Antonella Anedda (“Notti di pace occidentale”) Vivian Lamarque (in particolare “Una quieta polvere”, e poi l’ultimo “L’amore da vecchia”) Milo de Angelis ( “Quell’andarsene nel buio dei cortili”, e “Biografía sommaria” in particolare), Umberto Fiori (“Tutti” e “La bellavista”) Claudio Damiani (” Attorno al fuoco “, “Eroi”, “Cieli Celesti” specie) Mario Benedetti (“Umana gloria”, stupendo), Alba Donati, Alberto Nessi… Ce ne sarebbero altri 10 almeno… Poi, della poesia straniera, in particolare Herbert, Milosz, Szymborska, tradotti dal divino Marchesani, e Brodskij, quasi solo tradotto da Giovanni Buttafava. Anche Seamus Heaney, specie nelle traduzioni di Gilberto Sacerdoti, in particolare “Veder cose”. Infine, un altro Mario Benedetti, ma questo di Montevideo. La sua “Hombre preso que mira a su hijo” è un capolavoro (da “Poemas de la oficina).

In dono a Riccardo e ai lettori di Larosainpiu, di Carlo Betocchi, da Tetti Toscani, Redivivo in Firenze

Mi balzò l’anima
quando vidi i tuoi tetti
diseguali

dopo che il treno una notte
lenta d’avvicinamento
mi lasciò su una piazza desolata.

Due nottambuli parlavano,
eri sola, o Firenze,
e salii nella stanza d’albergo,

dormii nelle tue braccia,
nel tempo, nell’oasi di pietra,
di calce e travature cedevoli,

sotto le stelle supreme,
vivido di battesimi:
e nel mattino

nebbioso dell’inverno
fiorentino, secco di ricordi,
destandomi,

una frattura
solitaria divampò
dalla mia mestizia.

Lasciai l’arte per l’anima,
e al crollo silenzioso
del vivere invisibile

ancora una volta
un toscano senza pianto
s’inoltrò sulla soglia dell’Ade.


Riccardo Olivieri, nato a Sanremo nel 1969, dopo l’Università ha lavorato tre anni in Piemonte, poi ha vissuto in Lussemburgo e in America Latina. E’ rientrato a Torino nel 2000, dove vive e lavora come ricercatore di marketing.
Nel 2001 ha vinto il Premio “Dario Bellezza” e ha pubblicato la raccolta di poesie Diario di Knokke, segnalata al Premio Montale 2002. Nel 2006 Passigli ha pubblicato Il risultato d’azienda (pref. Stefano Verdino) recensito sulla “Italian Poetry Review”, Columbia University. Nel 2012 esce per Passigli Difesa dei sensibili (Pref. D. Rondoni, nota M. Morasso). Nel 2013 vince il Premio Lerici Pea – Sezione Poesia Inedita. Nel 2014 l’Università di Bologna include Olivieri nell’“Atlante dei poeti italiani” (sito web -Dipartimento di Italianistica). “A quale ritmo, per quale regnante” è il libro uscito a luglio 2017 per Passigli (Presentazione di G. Conte) finalista al “Premio Firenze” 2017 e vincitore del “Premio Pavese 2018” per la poesia edita.
Nel 2020, Puntoacapo Editrice ripubblica il “Diario di Knokke” con alcuni inediti, e la prefazione di Daniele Mencarelli.
Nel 2023 Passigli pubblica “Restare vivi” (pref. di Claudio Damiani, con un commento di Vivian Lamarque e Giuseppe Conte in quarta di copertina). Al libro viene conferito il Premio “Il Meleto di Guido Gozzano” per la poesia edita 2023.



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