
«A cosa non rinuncerebbe mai?
«Al silenzio».
Franco Battiato (da una intervista del 2014)
La lingua che Massimo Zurolo sceglie accuratamente per scrivere le sue poesie esclude il parlato, ogni mescidanza linguistica, l’eccessiva formalità letteraria. I suoi versi sono scarni, essenziali, privi di artifici; chiari, limpidi, ma non per questo facili; orientati a una visione ampia e meditativa dell’esistenza: “Tutte le storie del mondo / non sono che una / e quella, diventerà ancora / E le parole si / allontaneranno / come galassie / Ne nasceranno altre / da qualche altra parte / E ci saranno storie / e quelle storie / saranno una.”
Non si rileva traccia di enfasi nel suo dettato, ma neppure un senso di distacco, di freddezza. Non si tratta di una poesia anestetizzata: per nulla.
Dopo aver letto alcuni dei suoi versi, che pubblica da anni sul suo profilo facebook (troviamo alcuni suoi inediti su blog letterari) si ha l’impressione di aver attraversato la sua storia personale, nel modo insolito in cui ce l’ha raccontata; non trascritta nei dettagli puramente biografici – anche se qualche volta sono presenti – ma mediata simbolicamente. Il messaggio che invia al lettore non è carente di potenza di verità; la verità, però, per Massimo Zurolo, non può essere stilata come un referto clinico: “Non è semplice scegliere / ogni volta / le parole da non dire / E ti presento / pronta per la digestione /la mia inappuntabile verità /Cinica ricostruzione di fatti /Scelti ad arte tra molti, altrettanto veri / e quindi /altrettanto falsi /È il fascino dell’incompleto /Poter dir tutto /senza avere niente.”
Se il “vero”, non è dato in modo precostituito, l’autore sembra auspicare di poter continuare a inseguire la sua verità, mai definita con esattezza dall’artificio di una costruzione mentale e razionale riduttiva, che ne impoverirebbe la ricerca: “Il gioco della comprensione / non ha mai perso il suo fascino / Una volta imparato a vivere /sarò pronto a morire”. In quest’altra lirica traspare, nel dialogo immaginario con sua figlia, l’impossibilità di semplificare (per entrambi) ciò che sfugge sempre a una comprensione schematica e immediata: “Lungo la via / Quando qualcosa, da poco / diventa giusta / e poi troppo / Quando un pensiero / che trattieni gioiosa / si tramuta in nero battito d’ali / Quando ti renderai conto / nell’interregno tra il conscio e l’inconscio /che la verità sta in penombra / Io ci sarò /figlia mia.”
Dalla scrittura di Massimo Zurolo, talvolta, affiora un verso che sa di sentenza; ma in modo non assertivo, come nell’haiku “Iconoclastia”: “Distruggere l’ultimo fiore / e, finalmente / parlare d’amore”, Sumi – e perfettamente tratteggiata con pennellate zen d’inchiostro nero su carta di riso leggerissima. A volte si tratta quasi di un inciso in una poesia più lunga: “Nel costeggiare / la montagna dell’eterno / chi è fortunato / per qualche tempo lascia una storia / Chi no / l’attraversa come se non l’avesse mai fatto. “
Alcuni vocaboli del lessico misurato e sobrio del poeta sono ricorrenti; parole chiave per tentare di accedere alla visione dell’autore, attorno alle quali, e grazie alle quali si raggruma il senso; come nel caso del termine “morte” più volte utilizzato, associato spesso all’idea di rinascita /fecondità / vita o altro concetto più sfumato, aperto al trascendente: “Ti porto dove non si tocca / Ogni onda sarà vita / e sarà morte.”; oppure: “Qui, la morte / è fine giusto e naturale della vita / Ma l’altro occhio intravede, a volte / un disegno diverso / (non pensato, né messo in atto) / in cui l’uomo non è / e non è / neanche la morte.” Un’altra parola, “strada”, rimanda a un viaggio che non attraversa solo luoghi geografici: “Viali, strade / radure / dove stendersi un attimo a tirare il fiato”; “Andare di continuo / per le strade di una vita”; e ancora: “Non vogliatemene / a volte mi son perso / ma erano tante le voci e altrettante le strade /a modo loro /tutte interessanti / Questa in cui mi trovo adesso /potrebbe essere un’altra / Posti opposti / Questa la forza / e la maledizione”. È quasi sempre sul confine, infatti, fra due estremi, in opposizione, che abita la poesia di Massimo Zurolo. Un esempio fra tutti: nei lessemi in contrapposizione ombra/luce: “Non potendo fare a meno l’una dell’altra / luce ed ombra / hanno iniziato ad amarsi”; o nell’antitesi ordine/caos: “Metto ordine fuori / perché dentro non posso / Almeno adesso / che le matasse non hanno bandoli / e ogni cellula / segue la propria / differente canzone / Piego per bene / lenzuola e coperte / leggo tutte le avvertenze / di farmaci / e accessori / Allineo libri / per altezza e spessore / appaio calzini / non faccio rumore / Per non sparire! / Sotto mille / taglienti / schegge.”
In un’altra sua poesia, il limite fra due spazi non contigui è rappresentato dalla soglia fra sonno e veglia: “A volte /prima di prendere sonno / il cuore prende tutto / E quando dico tutto / dico il corpo / la stanza /e anche il mondo / Ma io già dormo e / vi dico la verità / sta cosa del mondo / l’ho solo immaginata / Da sveglio /col cuore nel petto /che batte un po’ più forte.”
Massimo Zurolo dice di sé:
“Nasco nel 69 a Catania sotto i migliori auspici, poi, qualcosa si è perso.
Militare da sempre, durante la strada, diversi interessi. Teatro, ballo, filosofia.
La poesia arriva da ultima ma c’è sempre stata. In testa, tra gli occhi e in ogni singolo sfiorarsi di pelle.
La scrittura è approfondimento e scrivo per cercarmi.
Ad oggi, brancolo nel buio.”
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La poesía no siempre es comprensible y tampo a veces es necesario. La poesía como cualquier obra de arte está ahí para disfrutarla, nada más. Buen día.
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