*

GENERAZIONI

Quando camminano per strada
la mano nella mano, a testa alta,
sempre pronti a occupare una piazza
per qualche buona causa
e curiosi di ogni faccia, ogni negozio
nuovo, passo dopo passo sembrano
ringiovanire i miei,
mentre io che li spio in ozio
alla finestra, fiacco, testa bassa,
distratto dal rancore
per il tempo che passa
sono il loro ritratto
di Dorian Gray.

*

SETTING

Tu sorridi, e litighi, e piangi,
fai l’amore, poi sanguini, e mangi,
e telefoni, svieni, festeggi
il compleanno, ti appisoli, leggi,
fai la doccia, lavori al pc
ma lui resta impassibile, lì
sulla sedia, sbadiglia, e con spenta
pupilla ti spia e non commenta,
finché visto l’orario
si riscuote e raggiunge il suo piatto
dove aspetta il dovuto onorario.
È un freudiano severo, il tuo gatto.

*

PIÙ LUCE

È una sera di quelle
che la luce radente sembra eterna
e quando il buio cala sulle città d’Europa
ci si bacia per vivere del mito
di quei baci da soli lungo gli anni.

Lui siede su un gradino, la mano aperta
nella schiena di lei, per dire che non vuole
né abbandonarla né stringerla troppo
o per fermare un tremito,
lei gli si accuccia accanto e si raccoglie
le gambe al mento
per coprire col tremito il rimorso,
col rimorso la gioia
come una pancia gonfia o insanguinata.

Le pietre sono calde in questi mesi
nelle città d’Europa.
Vicino ronza un Tevere o una Sprea
un Lungopò o un canale Saint-Martin
o forse il vecchio Arno.

«In un mondo più giusto» dice a un tratto
uno dei due, provando appena a ridere
«esisterebbero abbastanza vite
da vedere di tutte dove portano.
In una forse avremmo un campanello
nel palazzo qui dietro
e potremmo badare a due bambini
con gli occhi non si sa se verdi o scuri
e nel lenzuolo troveremmo il pelo
di un cane enorme».

«Ma in un mondo
più giusto ancora» risponde uno dei due
senza inflessione
«avremmo sempre questa sola vita
e mai sentiremmo nostalgia
delle altre che ci passano vicine
e che basta una mano ad afferrarle
e ributtarle in acqua come i pesci:
le ascolteremmo come adesso il fiume,
poi qualche volta, due
o forse tre in un secolo
una ne guarderemmo un lungo istante
con l’amore di chi si scorda tutto
nell’oggetto guardato
e di niente ha bisogno,
per lasciarla a sé stessa e non sfiorarla».

Mentre ne parlano sanno che in quei mondi
loro due non sarebbero più loro: e sanno ancora
che fino ad oggi mai
ne avrebbero parlato.
Ma adesso è il tempo che le città d’Europa
tornano i nomi astratti dell’infanzia
o le case prosaiche in cui morire.
È un tempo senza rime né metafore.
Le cose ridiventano le cose,
canzoni dell’estate le utopie,
blockbuster le speranze
di quando in ogni camera d’albergo
vedevano soltanto l’anticamera
di una realtà assoluta e siderale:
poche ore
e rientreranno in altre città e stanze
dove altri li accudiscono e perdonano
con la bontà severa
che si dedica ai cuccioli.

Eppure ancora il mondo non ha perso
la sua aura, ancora non fa resistenza:
neanche adesso la vita
prende una forma chiara, una durata.
Calde le pietre, tiepide le pelli,
le frasi ironiche, angosciati i baci,
e dunque loro
non possono più essere che loro:
innamorati
di miraggi diversi ogni stagione
mentre forse non amano mai niente
perché dal vero amore non si può
tornare indietro
e raccontarselo soli come un sogno.

Ma se è così, lo stesso
pensate a lei e a lui con indulgenza
voi che verrete un giorno:
troppo presto
li illusero che non avrà scadenza
l’ultima luce nelle città d’Europa.
Se un giorno leggerete i loro smartphone
senza disprezzo voi
fissatene le rughe di bambini
che di colpo hanno avuto
l’ombra del mondo intero con un tasto,
il tremito di figli
a cui tutte le cose
sono state di colpo note e inutili
e che al mattino per sognarsi eroi
strisciano i trolley nelle città vuote.

*

UN PAZIENTE

So descrivere tutto
fuorché ciò che accade al mio corpo. 
Davanti ai dottori balbetto
e mi tocco come si avanza
a tentoni, fiutando
l’odore di un mostro
dentro a una camera buia.  

È che il mio corpo è vostro:
di voi tutti che lo sfiorate
per amore, o mestiere, o per caso.
Mia è solamente la paura.

*

OGGI

Stai sempre per dire qualcosa
poi inghiotti l’aria e taci.
Tutto è già detto. Tutti hanno ragione.
Una rosa è e non è una rosa.
La bocca serve per i cori e i baci
o a nominare bestie, oggetti, persone.
Al massimo, fai una dedica.
Ma no ai predicati: sono una predica
inutile. Una gaffe dell’umore.
Chi si lamenta ha torto.
Ascolti il silenzio del vincitore
per distinguerlo da quello del morto.  

*

Matteo Marchesini, Scherzi della natura, nota di Paolo Maccari, Valigie Rosse, 2022

Matteo Marchesini è nato nel 1979 a Castelfranco Emilia e vive a Bologna. Poeta, narratore e saggista, ha pubblicato le satire di Bologna in corsivo. Una città fatta a pezzi (Pendragon, 2010), il romanzo Atti mancati (Voland, 2013, Premio Lo Straniero, entrato nella dozzina dello Strega), i racconti di False coscienze (Bompiani, 2017) e Miti personali (Voland, 2021), le raccolte critiche Da Pascoli a Busi (Quodlibet, 2014), Casa di carte (Il Saggiatore, 2019), Scienza di niente (elliot, 2020) e Diario di una cavia (Castelvecchi, 2023), le poesie di Marcia nuziale (Scheiwiller, 2009), Cronaca senza storia (elliot, 2016, dove è rifusa anche la plaquette Sala d’aspetto, Valigie Rosse-Premio Ciampi 2010) e Scherzi della natura (Valigie Rosse, 2022). Collabora con “Il Foglio”, “Il Sole 24 Ore”, Radio Radicale e “doppiozero”.


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