*

Precari

Mamma tu lo sai
che a un idiota qualunque
se va a leggere su un palco
(li chiamano slam poetry)
gli danno quanto meno cento euro
(lo chiamano gettone di presenza)
e se lo vince ci può campare un mese,
certo senza pretese
Mamma mi ricordo quando non camminavi
papà a spingerti giù nel corridoio
overlook dice un poeta di oggi, come in Shining,
e tu battevi i piedi, invece,
come un bambino al mare
Mamma tu lo sai che oggi
se va bene mi rinnovano il contratto
ma devo sorridere, carina e ben vestita
(da ricercatrice a tempo, che hai capito da velina)
Mamma ti ricordi com’eri bella nelle foto
in cui ci somigliamo
(meno disoccupata tu,
meno gettone di presenza
una supplenza tre figli e
– lo leggevi Céline? – l’atroce
farsa del durare)
ma lo sai che adesso
puoi lavorare gratis, se ti dice male,
e un fidanzato a tempo lo rimedi:
precario oggi è come postmoderno ieri,
come il nero,
si mette dappertutto che non stona
Mamma tu nelle foto eri bella,
mentre ora che ci guardano le telecamere
ti prendi, magari, un’ombrellata
e se ne muori
almeno sai chi è stato
Mamma gli altri miei amici hanno le mamme
che sorridono, a volte, tutte vive
(le tue medicine impilate
più il potassio per ripristinare i liquidi),
e adesso, sì, ti porterei dove volevi andare,
in quel posto molto chic a San Lorenzo:
dieci euro e mangi una, due prese,
alla terza ti guardano male (lo chiamano happy hour),
e ti farei leggere quello che scrivo
quando dicevi
la dobbiamo far vedere non è normale,
o ti potrei presentare i fidanzati,
pure quel curdo di cui diresti non sia mai
Mamma ti vengo a prendere, alzati,
dai aria alla stanza e, soprattutto,
fatti trovare

*

Un nome che può essere Salim

Stacco tutto e me ne vado:
è grosso, una stampella per parte
L’altro non sa scrivere il nome
Somalo? Etiopia. E te pareva,
quante possibilità ciàvevo, su un mijjone
Promiscuità, è questo a definirci
nell’anticamera del reparto dove il sonno ci intuba:
staccati gli aghi ci sveglieremo tutti sani o più malati
a digiuno
e niente acqua dalla mezzanotte
Mettiamo un po’ di musica così ce passa,
s’infila i guanti per Salim, lui non sa scriverlo
ma lei lo ha imparato col tu democratico
degli ospedali
Scrollo le poesie del poeta operaio
dice rinchiudi un porco nel reparto
noi aspettiamo in fila dopo il girotondo
del rispondi alle domande
(allergie, farmaci, malattie importanti)
poi spostati tu da quella parte
(a fissargli l’ago, senza i guanti)
Siamo in quattro, guardiamo un po’ in aria
un po’ ci sorridiamo mentre Salim non ha capito
che deve togliersi la giacca
Glielo mimo pensando al cianciare brutto
di ogni Facebook sui cosiddetti #migranti
(categoria che vorrebbe smarcarsi)
Siamo fermi in questo spazio che ci contiene
insieme al tempo che a dispetto della musica non passa
Saremo fuori, prima o dopo, saremo a casa
Salim forse resta, l’infermiera ha detto il nome
del suo male che non ha capito lui solo,
finalmente senza giacca

*

Così poi forse divento brava

Legatemi la testa, non voglio morire
(nessun suicida vorrebbe mai)
Alternativa tra giù e le fiamme
rincorsa e oplà
imparare a stare al mondo
come si passa dalla pianta al vortice
dal cumulo alla sintassi
Verticalizza il dolore nella serie (elenco di farmaci,
a seguire)
ammorbidisci
(rilascia, incapsula, guarisci)
oppure dilacerato, a stacchi (incisioni soprapelle, che si vedano,
che ti facciano, poi, quelle domande,
collaterali, effetti: tutti)
offrilo ai vicini, compassione: condiviso come nei giorni buoni
scomponi i filamenti
(molecole, principi attivi, rifinitura)
La scorciatoia è ribellarti all’escussione
con l’attivismo della tana
ordina in piccole azioni lente precise
il tratto quotidiano dalla testa all’arto, uno:
il cinismo non guarisce nessuno
(dormi con un cane: ti sveglierai?)
Guardatemi, scompaio

*

Se mi chiedessero di piangere forte, per la scena di un
film, non saprei come fare:
tutti i ricordi che ho impacchettato sono già partiti patetici
non sono fatti per l’imprevisto, il dolore è un assalto
non una coltivazione o un pigiama party
ma vieni, prego, basta che hai un pungoletto o
almeno qualche sfiga, puoi entrare
Una volta avevo pensato di fondare un club per orfani,
con la tessera e tutto
per raccontarci com’era, oppure anche non raccontarci niente,
sapere soltanto che non eri solo (che diamine ma tutti e due,
con le facce sgranate come fosse dipeso da te, in qualche modo)
però poi ho avuto paura che lo confondessero col DSM
non volevo una cura
che quella è peggio del male, si mette lì col calendario
è un impegno bisettimanale, no, per carità, una tregua,
una via di fuga
quello spazio aperto nel muro del pianto: eccolo,
il club degli orfani
Ma di sicuro un depresso s’infiltrava. Me lo vedevo lì, ciondoloni
e poi magari dovevamo allestire un letto, una brandina
così che potesse fissare il soffitto e non alzarsi mai
e ci sarebbe crepato, lì dentro, mi ci mancava un altro funerale
Lo conoscevi
Eh sì
Oh mi dispiace
Ma no, dai, non importa
Come, non sei depressa?
E no, non tanto

*

Ti piace inventare
oppure riferire in modo preciso
magari invertendo le parti
Come i bambini introversi che,
ginocchia al pavimento,
si parlano sottovoce

Io, forse,
non sono nemmeno qui ad ascoltare

*

Gilda Policastro, La distinzione, Giulio Perrone Editore, 2023

Gilda Policastro è nata a Salerno, cresciuta in Basilicata e vive a Roma. Insegna Letteratura italiana, e cura i corsi di Poesia presso l’Accademia di Scrittura creativa “Molly Bloom”. Ha curato la rubrica settimanale “La bottega della poesia” del quotidiano “la Repubblica” dal 2019 al 2021. È redattrice del sito “Le parole e le cose” e collabora con la rivista digitale “Snaporaz”. Nel 2023 ha collaborato come critica letteraria con la trasmissione di Rai1 “Mille e un libro”. Ha pubblicato i libri di poesia Non come vita (Aragno, 2013), Inattuali (Transeuropa, 2016), Esercizi di vita pratica (Prufrock Spa, 2017) e La distinzione (Giulio Perrone Editore, 2023); i romanzi Il farmaco (Fandango, 2010), Sotto (Fandango, 2013), Cella (Marsilio, 2015) e La parte di Malvasia (La Nave di Teseo, 2021); tra i saggi, Sanguineti (Palumbo, 2009), Polemiche letterarie dai Novissimi ai lit-blog (Carocci, 2012), L’ultima poesia: scritture anomale e mutazioni di genere dal secondo Novecento a oggi (Mimesis, 2021).


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