
L’Architetto
Credo ai distruttori – al loro connaturato
ingegno, dipende da essi
il rinnovarsi della terra.
Il mondo si sbilancerebbe, senza l’assillo
del tarlo o il bradisismo dei vulcani
senza l’infierire del piccone
o l’erosione delle correnti
– che mutano in residuo la pietra.
Non potrei costruire
se un’altra forza non agisse contraria
regredendo all’abbozzo
facendo un fossile di ciò che è vivo.
Né potrei sollevare quel che
– derivando dalla polvere –
ne ha nostalgia di ritorno.
Sostanza è un organismo insondabile
meticciato di fatica, spasimo, prigionia.
Ciò che possiede una forma avrà anche un compito
la funzione produrrà sfinimento
e questo guadagnerà l’asfissia d’una segreta.
Edificare con questo materiale
è come affidarsi alla paglia
e in segreto temerne il bruciore.
Si potrà andare superbi per l’edificato
presentendo l’esatto luogo in cui l’elemento
comincia a dormire
o a morire?
Creazione è un precipitarsi alla rovina
è turbamento, ma perché la materia ci confonda
in profondità deve averla affollata
lo spirito.
Io, creatura della costruzione – mentre riempio vuoti
o misuro perimetri, mentre disegno l’esagono perfetto
in cui lo spazio non si pieghi al sacrificio
ma all’utilità – la maneggio cautamente
ricordando che ogni asilo
cauterizza il vagabondaggio
e che credere in una casa significa
ipotizzare Dio.
L’Ancella
È tutto un gioco di mani
questo servire – tutto un agevolare
il gesto altrui mancato.
L’azione combacia con l’inerzia
e sono l’una per l’altra
maternità.
Alla stasi oppongo frenesia
all’inappetenza un pasto ingordo
una semplificazione che nutre il dovere
non il sangue.
Dramma è questo essere sete e acqua
nutrimento e poi fame che sciupa in me
ogni stagione.
Ben triste sarebbe impazzire di gioia
e accadrebbe – se ciascuno non allevasse
quotidianamente la propria ferita
originale.
Nascere innocenti – eppure sfigurati
da un taglio vorace – è cibo da predatori
ma l’assapora anche il bottino stanato
nella radura, se vive senza domanda
quest’ora di fuga.
So che aver immaginato la fine
annulla ogni creazione
e preghiera è
non chiedere nulla.
La Ventilatrice
So lottare contro il gelo e la febbre
– so riconoscerli.
Intuisco l’istante in cui la tiepida linea natale
si ghiaccia o prevengo la picchiata del sole sugli usci
medicati dalle ante.
Contraria a ogni ciclo celeste
preservo la costanza col clamore delle ali
che nulla muti – non un grano, non un grado
in questo regno dell’opera.
Il carattere di ogni stagione sa aggredire
io stessa – come polvere scoperta – mi dibatterei
nel tormento del chiaro, se non facessi nodo
con la moltitudine che mi oscura,
se non governassi gli eccessi
del tempo eccedendo in fatica.
Nella festa della casa – chicco d’incenso –
mi consumo su braci di fortuna
e sparisco in silenzio
nel bisogno di altri regni e vastità impossibili.
Dire non puoi la morte
a chi ami
puoi cambiarle nome
dire forse: attesa.
Immaginare un cielo primitivo
contro lo spazio sacrificale
di questa eclisse.
Era il bene a uccidermi
– era la stagione.
Elisa Ruotolo è nata nel 1975 a Santa Maria a Vico (Caserta). Ovunque, proteggici è il suo primo romanzo (nottetempo 2014; Feltrinelli 2021). Ha esordito con la raccolta di racconti Ho rubato la pioggia (nottetempo, 2010). Ha pubblicato Una grazia di cui disfarsi. Antonia Pozzi, il dono della vita alle parole (rueBallu, 2018) e la raccolta poetica Corpo di pane (nottetempo, 2019). Per Interno Poesia ha curato il volume Mia vita cara. Cento poesie d’amore e silenzio di Antonia Pozzi. Il suo secondo romanzo, pubblicato da Feltrinelli, è Quel luogo a me proibito (2021) tradotto in Francia dall’editore Cambourakis. Nel 2023 ha pubblicato Il lungo inverno di Ugo Singer (Bompiani) e Luce (Tetra 2023).
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