
Dall’introduzione di Edoardo Zuccato:
Se si pensa letterariamente alla Romagna, le prime cose che vengono in mente sono le atmosfere surreali e trasognate di Tonino Guerra e Federico Fellini, alle quali si può accostare e in parte sovrapporre la teatralità stralunata e logorroica di Raffaello Baldini, poi rivisitata in chiave sperimentalista da Giovanni Nadiani. Accanto a questo filone più visibile ne esiste un altro, meno noto al grande pubblico ma non per questo meno originale e significativo. Si tratta di un filone caratterizzato dalle forme brevi, spesso epigrammatiche, declinate lungo uno spettro che va dal comico al civilmente impegnato, al metafisico. Ne sono stati protagonisti ieri poeti come Nino Pedretti e Tolmino Baldassari, la cui lezione oggi continua, con modalità stilistiche ed espressive diverse, in Francesco Gabellini, Annalisa Teodorani e Alex Ragazzini. Se dovessimo scegliere un maestro di Ragazzini lo indicheremmo in Baldassari … Di Baldassari, testimone del suo battesimo a stampa, Ragazzini sembra aver ripreso la tensione lirica e potenzialmente simbolista, combinandola però con un gusto per il medioevo e il rigore metrico … Questa modalità espressiva è stata ripresa anche in Florilegium o i sogn, dove si nota, come indica già il titolo, un elemento onirico più accentuato. Dunque, ci troviamo in un ambiente di sogno simbolico, in naturale continuità con il percorso iniziato nei libri precedenti. Diversa è però la forma, poiché si tratta qui, come indica il sottotitolo, di una “Suite di versi romagnoli per voce recitante in quattro movimenti: esposizione, interludio, ripresa e coda”. C’è, pertanto, il tentativo di innestarsi su quel filone monologante e teatrale che abbiamo indicato in apertura, escludendone gli aspetti comici e narrativi per concentrarsi esclusivamente sul lato onirico e musicale. La forma è aperta, i versi sono privi di rime e di varia misura, le strofe irregolari, come si addice a un testo per voce […]
I
E’ fiór d’lona
cun la sunêda d’Bach
dri i fiur d’mintàstar,
o i campanel de’ paradiṣ
lòngh stra al câṁbar da ẓnê
stra l’ôr dla veta
la séra ch’l’è pasêda la nӧt
a l’êria di sogn,
‘na córsa ch’la toca i rem dj élbar
e j oc de’ campê cun e’ ciamê
l’êria de’ sogn,
e al viôlaciӧca dl’ânẓul
e i fiur int e’ prem fresch dla séra,
stra al magnôli
calé ẓo da i ẓarden cun l’udór dal rôṣ,
i ẓugh cun e’ vezi d’farena
int al boch ch’al scor
a l’êria dal candél a la nӧt,
e stra al ciàcar ch’al rôṣga
la tegna cuṣida int al foi dl’amlôr,
i mulnel ch’i s’abṣena da tot i chent
s’i sona i pidarsul sambédgh
pissi pissi pissi pissi,1
e e’ vent l’artira gnicôsa, i rez
d’un fat ad fiur,
al boch d’bot dl alona
cun l’udór dal viôl,
e agli òmbri agli è sól un tarmulê dal foi,
al mélarânzi ṣbuzêdi d’ôr cêr int la luṣ dla Piӧpa
artôrta pr e’ vent dla staṣon dl’istê
int i dè ch’i bëca cun i capel,
e i suriṣ int un barbai d’luṣ
l’êria ch’e’ gozla j oc di pen,
al pignati d’acva chêlda
cun e’ mònd sechi nt al ven di fiur,
i fiur di castrachen
in do ch’al sona al campâṅ
un pér d’bëfi
de’ zil
cun j òman ch’i scor
ins e’ bëch di sogn
cun l’udór de’ dólz.
E l’utòbar chêld par temp
firum, pistènd i pi al gâṁb
al s’è impaluridi,
un arapês da invulês a e’ zil,
al tròmb d’arẓent
ins al nùval ch’al s’è nascӧsti int i cavel
e ch’an al vô dê ment,
e l’ânẓul pusês ins e’ sulaz de’ mònd
l’ânẓul da la ciàcra ch’e’ scor
e’ scor e’ scor e ch’u n’fnes mai
cun la tròmba ch’la sona
d’int ‘na góla ch’la n’è mai ‘sota,
bichènd la lona ch’la j è fata cumpâgna e’ mònd,
e e’ piânẓar dla pasion
prema dl’óra bona dla matena
sot’a e’ vent de’ pas
evâṅt ch’al tórna
al foi ch’al bat
i pianafurt s’i sona a boca avérta
e’ tempi nt un pirulê de’ mònd.
E la venti nt e’ mëẓ de’ dè
l’óra di zugh
s’e’ ṣgrafegna e’ côr e’ mëẓ de’ mònd,
e’ fiór aṣérb,
e a dgen che i nòstar favur
j è ẓa murt i nòstar fiur
e e’ cantê dal bël cantêdi
a i prem fiur nuv,
e la staṣon ch’la s’è fata piò chêlda
e’ sól ch’u s’arciapa cvâṅd che al speṅ
an al taia al dida,
e e’ temp che on dri el’êtar i fiur
i chësca par tëra,
e l’êria l’a s’è fata piò alẓira,
e e’ piôv ins al vet dal Piӧpi
i stùran ch’a carden,
s’i góza i fiur
al vóṣ int la luṣ dl’istê ch’la s’ṣmôrta
d’ôr contra un’êria de’ zil,
e i cres i ẓarmoi, al nùval
agli à bagnê l’intai, stra al piânt
al foi ch’al bëca al dida biânchi
al mân ch’al borga int e’ vérd incóra
e ch’an al trôva,
se un cvicadon l’à fat la ṣmenta
la filadélfia la j è fiurida,
i ẓarmoi j à furê, e al foi
al s’aṣgrâṅda, sèmpar d’piò
e un cvicadon u s’è fat d’arnôv,
d’cô l’à arcminzê d’pӧsta,
e al viôl al dà fura
e al s’aṣlònga vers a l’êlta.
1 Notazione che indica un parlottare sottovoce
Il fiore di luna / con la sonata di Bach / vicino ai fiori del mentastro, / o i campanelli del paradiso / lungo tra le camere da cena / tra l’oro della vetta / la sera che è passata la notte / all’aria dei sogni, / una corsa che tocca i rami degli alberi / e gli occhi del campare con il chiamare / l’aria del sogno, / e le violacciocche dell’angelo / e i fiori al primo fresco della sera, / tra le magnolie / scesi dai giardini con l’odore delle rose, / i giochi con l vizio di farina / nelle bocche che dicono / all’aria delle candele la notte, / e tra le chiacchiere che graffiano / la tignola cucita nelle foglie dell’alloro, / i mulinelli che s’avvicinano da ogni lato / se suonano il prezzemolo selvatico / pissi pissi pissi pissi, / e il vento che ritira ogni cosa, i ricci / di un fatto di fiori, / le bocche di botti di luna / con l’odore delle viole, / e le ombre che sono solo un tremolare delle foglie, / le melarance sbucciate d’oro chiaro nella luce della Pioppa / torta per il vento delle stagioni d’estate / nei giorni che pungono con i cappelli, / e i sorrisi in un abbaglio di luce / l’aria che goccia gli occhi dei pini, le pentole d’acqua calda / con il mondo secco nelle vene dei fiori, // i fiori del tarassaco / dove suonano le campane / un paio di baffi / del cielo / con gli uomini che parlano / sul becco dei sogni / con l’odore del dolce. // E l’ottobre caldo in tempo / fermi, pestando i piedi le gambe / si sono intirizzite, / un arrampicarsi da salita al cielo, / le trombe d’argento / sulle nuvole che si sono nascoste nei capelli / e che non vogliono ascoltare ragione, / e l’angelo posarsi sul godimento del mondo / l’angelo dalla favella che parla / parla, parla, e non finisce mai / con la tromba che suona / da una gola che non è mai asciutta, / beccando la luna che è fatta come il mondo, / e il piangere dell’amore / prima dell’ora beata del mattino / sotto al vento da passo / quando tornano / le foglie che battono / i pianoforti se suonano a bocca aperta / il tempo in un girare del mondo. // E viene nella metà del giorno / l’ora dei giochi / se graffia il cuore il mezzo del mondo, / il fiore acerbo, / e così diciamo che i nostri favori / sono già morti i nostri fiori / e i canti delle belle canzoni / ai primi fiori nuovi, / e la stagione che si è fatta più calda / il sole che si ravviva quando le spine / non pungono le dita, / e con il tempo che uno dopo l’altro i fiori / fa cadere a terra, / e l’aria che s’è fatta più leggera, / e piove sulle cime delle Pioppe / gli storni che crediamo / se gocciano i fiori / le voci nella luce dell’estate che si chiude / d’oro contro un’aria del cielo, // e crescono i germogli, le nuvole / hanno bagnato l’innesto, tra le piante / le foglie che pungono le dita bianche / le mani che cercano nel verde ancora / e che non trovano, // se qualcuno ha coltivato la semenza / e il fior d’angelo è fiorito, / e i germogli hanno forato, e le foglie / sono più grandi, ogni volta di più // e qualcuno si è fatto di nuovo, / dal fondo ha ricominciato del tutto, / e le viole forano la terra, e s’alzano verso l’alto.
Alex Ragazzini, nato a Faenza nel 1973, vive a Brisighella (Ravenna). Ha pubblicato in lingua romagnola il melologo Mecanìṣum (Il Vicolo Editore, 2016, prefazione di Gianfranco Lauretano e postfazione di Nevio Spadoni) e la raccolta La siṣma e al speṅ (Il Vicolo Editore, 2019, con nota in versi di Gianni D’Elia). Suoi testi figurano in raccolte antologiche, cataloghi d’arte ed in riviste, quali “Graphie”, “Tratti”, “Il Parlar Franco”, “Atelier”, “Limes” e “Inverso Poesia”. Collabora con la rivista “Graphie”.
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