
I miei amici di Larosainpiù mi chiedono una dichiarazione di poetica e non so perché faccio fatica a focalizzare l’imperativo dell’ispirazione. C’è qualcosa che nasce da uno sguardo e qualcos’altro dalla paura quando inizio a creare versi ed è difficile da spiegare. Negli anni ho perso la concretezza della bellezza o meglio non credo più che l’arte, con annesse tutte le sue forme compresa la scrittura, debbano fiorire da un principio legato al bello, né che il suo valore di comunicazione debba creare l’incipit per un racconto di spiritualità e saccenza dinnanzi alle domande degli esseri umani messi a dura prova da tutto ciò che li circonda. I lupi della quotidianità a volte ci pensano loro a sbranare i nostri corpi, le nostre menti così tanto conclamate dal paradosso della libertà. Messi i piedi in questo mondo è già un cammino nel caos. Per questo quello che espelle l’inchiostro del mio pensiero è una poesia dello stare attenti a non violare la gioia (violandola) del nostro stare in perenne conflitto con la religione, con le carte di credito, con l’età che passa come un aratro sulla pelle, con il potere che resiste imbavagliando il fiato dei deboli, con la solitudine che piace tanto alle multinazionali di psicofarmaci, con i bambini che guardano i fuochi non più d’artificio ma di morte mentre i loro padri e madri provano a schivarli. Una poesia dello stare sull’attenti perché il male ha lungimiranti eserciti per dichiarare che siamo noi i nemici. Il ritmo, la grammatica, la verità in quartine, la pacificazione dell’endecasillabo, il verso spezzato, la realtà ricostruita per metafisica: macerie quando la società ha il suo capolavoro: l’omologazione.
Non fiori ma opere di poesia
Esuli
Il sabato nel villaggio degli appetiti demoniaci
ti stordisci con un carrello della spesa
e i buoni pasto della card terminati,
e intanto la solitudine consola
con il teatro dei grissini
che si spezzano come ogni tua relazione.
Gli esuli hanno scambi di idee
pari a quelle preghiere invocate dai sordomuti,
un po’ come la poesia orale
che non l’ascolti ma la vedi tutt’intorno:
l’albero, il viale, la signora che si reca al mercato,
la panetteria nell’odore lievitato di quotidianità,
quei quattro salti in padella e la parola
da mandare giù per dormire dove tutto è straniero,
niente di più indicibile come la tua faccia
nello specchio di una latrina ancestrale
La morte del realismo
Le giornate d’ottobre finalmente
con la fermata del bus della scuola sotto casa
e i bambini presi per mano
dalle madri, dai padri, dai nonni
e poi di corsa nella gelateria accanto
perché il sole è ancora una liturgia
che placa la ferocia della solitudine.
Dietro la finestra nessuno prende la mia mano
il contatto è un abbaglio di angeli
che piombano in moto con un misticismo
pari a un viaggio lisergico,
nessuno venuto da lontano come noi
sa come resistere soltanto con l’energia delle spezie,
il cappero, la menta, il pomodoro secco tritato,
le alghe in memoria che bruciano
dopo una estate di altoparlanti contro la pietà:
eccolo il mestolo piantato nella costola della sera,
ne parlo al telefono con mia madre
di come la preghiera anche se laica
sbizzarrisce la gola degli esuli
io che ho imparato dai pedoni
a non pisciare dietro le auto
filosofeggiando sulla morte del realismo.
San Silvestro
San Silvestro
il cane del vicino ringhia
i botti fuori bussano nel suo cervello.
La notte offre così il suo borbottio
come una nonna nell’apice
del suo alzheimer.
I nostri racconti
servono a poco contro le rughe.
Anche la luna col prosecco
ha qualità divinatorie
mentre rallegrano alla tv
i selfie al funerale di un ex Papa
ma è solo un egocentrismo
da vuoto improvviso
il mio angelo custode lo sa
lui conosce la pazienza delle parole
capaci di incendiare i dogmi
ogni volta che ascoltiamo
“questo è l’agnello di Dio”
per loro è il tempo
di mitragliare il cielo
fino ad abbattere l’ultima stella
e l’astro nascente
di una nuova setta di poeti stinti.
Fernando Lena è nato a Comiso, in Sicilia, lì si è diplomato all’Istituto d’Arte. Ha pubblicato diversi libri tra questi nel 2004 per l’Archilibri di Comiso una piccola suite ispirata da otto tele del pittore Piero Guccione. Successivamente con lo stesso editore il libro Nel Rigore Di Una memoria Infetta. Dopo un silenzio di quasi dieci anni nel 2013 ha dato alle stampe nella collana i quaderni dell’Ussero editi da Puntoacapo il libro La Quiete dei respiri fondati, sono seguiti poi nel 2015 Fuori dal mazzo libro d’arte, nel 2016 La profezia dei voli con l’editore Archilibri (primo classificato al premio Cento Sicilie Cento Scrittori e premio Poetika, secondo classificato al premio Moncalieri, terzo classificato al premio Luigi di Liegro, finalista al premio San Domenichino e segnalato al premio Montano). Nel 2019 è la volta del libro La finestra dei mirtilli scritto insieme alla poetessa Daìta Martinez per la Salarchi immagini. Nel marzo del 2020 esce il suo ultimo titolo Black Sicily (menzione d’onore al premio Montano, menzione speciale premio Città di Castrovillari). È presente in diverse antologie, e scritti critici sulla sua opera sono in diversi blog. Per il blog l’Estroverso cura uno spazio di consigli di letture dal titolo Asterioidi D’Inchiostro. È spesso ospite di festival dove la contaminazione poetica incontra altre discipline artistiche.
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