luce del tempo, onofrio

 

Dalla prefazione di Gianni Turchetta

È difficile sfuggire alla percezione che il titolo di quest’ultima, intensa raccolta di Marco Onofrio, Luce del tempo, condensi, in un sintagma che pare quasi una cellula germinale, non solo temi e immagini ricorrenti, ma, di più, alcuni assi portanti della sua scrittura poetica, che mettono radici un po’ dovunque nei suoi testi. Comincerei dalla prima di queste fertili ossessioni: la luce, che si accende nella frequenza di immagini solari, di mattine, ma anche di scorci paesaggistici e di scorci siderali, persino quando è notte. Luce, starei per dire, è la nostra stessa presenza, la percezione del proprio esistere, l’aprirsi della coscienza nell’infinito buio dell’essere. Esserci è luce perché coincide con l’atto stesso di aprire gli occhi: se vediamo c’è luce, se vediamo è perché ci siamo. E viceversa: il buio è il non esserci. Ma per ora ci siamo. Finché dura. Ed ecco subito che la presenza, immediatamente, coincide di necessità con il dispiegarsi, coordinato e conseguente, della durata, che nel tempo della vita azzera provvisoriamente la stessa eternità, consegnata al rango di sfondo, se non di ipotesi, mentre ciò che si staglia, si afferma, fragile e irrefutabile, è proprio l’esserci come stare nel tempo, il vivere come essere “durante” qualcosa. In qualche modo, tutto accade dentro queste coordinate: la luce, conditio sine qua non dell’esserci, e il tempo, sostanza fragile della trama dell’esistere, dove ciò che accade e ciò che c’è sono nel tempo, nel movimento […]

 


L’odore dei fulmini

I monti azzurri tremano lontani
come sogni di rinascimento,
sculture tra le mani d’un pensiero
che il vento scava dentro:
dalle nuvole rosa dell’alba
a quelle rosso-porpora la sera
piangono i boschi del cielo
argento di polvere d’astri
nebulose di costellazioni
mentre inghiotte l’ultimo bagliore
con la sua fulgida cifra
questa luce morente
di vita già passata
nel buio inestimabile
l’assente…

Oltre la notte del futuro
resta l’odore dei fulmini
un rimbombo cupo di tamburo
nell’aria che trattiene la ferita.

 

Salvare la luce

Voglio salvare la luce
che rimane impressa
nel bagliore,
la festuca d’oro
del presente
quando il buio prevalente
la divora
con l’istante stesso
che scompare.

 

Luce del tempo

Vanno e vengono da sole
Come le nuvole
Anche quando non vorremmo.

Le cose esistono a prescindere
da noi che c’illudiamo
di tenerle. È un governo vano
l’evoluzione eterna del presente.
Questo aprirsi di scatole cinesi
una dentro l’altra senza fine.
Il dominio incontrollabile
delle forze oscure
come il volante di una macchina
impazzita. Cade uno spillo
e innesca un rotolio di onde
nel mare sconfinato degli eventi
dove tutto è contenuto in una rete
di connessioni, invisibili
all’occhio dei più.

L’effetto-domino delle conseguenze
tiene aperti i lembi del cielo
e sorge dal buco del mondo.
Appare la realtà ai nostri occhi
schiacciante, incancellabile
talvolta incredibile:
più reale della verità
più vera della sua realtà.

Luce del tempo.

 

 


Marco Onofrio è nato a Roma nel 1971. Tra le sue raccolte: Disfunzioni (2011), Ora è altrove (2013), Ai bordi d’un quadrato senza lati (2015), Anatomia del vuoto (2019), Azzurro esiguo (2021). Numerosi i riconoscimenti ottenuti, tra i quali il “Montale”, il “Città di Sassari”, il “Pannunzio”, il “Carver”, il “Roberto Farina”. Di grande spessore anche la sua attività di critico e saggista, con opere come Novecento e oltre. Letteratura italiana di ieri e di oggi (2020) e Ricordi futuri. Scritti di storia, politica, società (2023).


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