COPERTINA GERMANI PRIMA DEL SEMPRE

Qualcuno mi raccontava e forse ero felice.    Aveva-
mo i tre cortili, i saluti nel buio delle tende.
Obbediscono così, dicevi, perché sono l’imperatore.
Io    cercavo    di    essere    piccolo,    avevo   sempre
un’ombra con me.
I gatti sognavano in mezzo alla neve.

*

Tornava lo sguardo, la luce sopra le vene. Sarebbe
stato il borgo, lo svenimento del cielo. Una calma.
Un prato dove c’era la casa.
Io mi chiamavo accanto, avevo una voce, la giacca
di fine millennio.

*

La piazza dei tredici anni,  la  fontana.   Quando u-
scivi con la febbre,  a settentrione, e t’inseguiva la
tua leggenda.
L’inverno era freddo e il fiato rimaneva nell’aria.
T’incontravo  vicino  agli  alberi,   avevi  un  sorriso
stanco,  eppure il vento era lo stesso.  Anche la cit-
tà, anche il palpito dell’orizzonte, anche le luci.
«Qualcuno ci nasconderà», ti dicevo, e crederci era
vero, era niente dal mio terrazzo.
Milano volava per tutta la notte.

*

La mia storia non c’era,  eppure qualcuno tornava
in bicicletta, la sera, passava vicino al lago, alle luci
dell’orizzonte.
Guardava la casa ancora lontana,  verso le quattro
del mattino.

*

Qualcuno segna le rovine con le mani screpolate. I
morti cercano i vivi tra le mura notturne.
È un  sogno  perduto  nel mondo, u no sguardo al-
lontanato.
Nelle  case c’è  una pace  ferita,  un’attesa di secoli
che non conosce perdono.

*

Sono i  poveri,  le  parole  saltate.  Piangono  la  stessa
agonia, il grido strappato agli ulivi.
La loro cometa è incenerita, è qui, è questa terra sen-
za luce né buio, questo cielo da sempre invocato.

*

Io ti guardo adesso,  mentre  la luce  ritorna dai sof-
fitti, dalle finestre bagnate, dai cortili, dagli anni
che furono amore e domanda.
Adesso sento il tuo respiro e la voce.
Per me è tutto, è una piccola fiamma  nel gelo, una
preghiera che tocca la notte e mi chiama, mi cerca
nel tempo.

*

La morte che era nei Fossi
e quel futuro
quella parola nera
caduta per poco…

Restavano in silenzio gli anni
le cupole alte della notte
e le ceneri, gli avvisi
del tempo.

Restava così
la novella del mare
Livorno e ogni voce,
il mio pianto
in fondo al tuo nome.

*

Chi ti rubava, chi ti sognava
quando nascondevi il tempo
e mi dicevi: «Resta ancora così,
resta in questa novella
bambino solo per me,
solo senza mondo,
attimo perduto della mia voce,
segreto del mio sangue.
Resta nel nulla che ami,
piccolo capitano del cielo,
piccolo fiore di vento…»

*

«Ogni giorno un mare,
un campo di stelle fiorite…»

Così dicevano gli anni, come fosse
per sempre,
come fosse per noi,
ma qualcosa bruciava nell’aria,
feriva i volti e le stanze,
rapiva tutte le luci,
le giravolte del cielo, i silenzi,
il tuo vestito di niente.

*

La bellezza che non sai dire
e le vene, tutta l’infanzia, gli anni
gli anni a capofitto
in questo
gettato divenire,
questo abisso che hai amato
in silenzio, tu
altro da te, altro nell’altro,
solo, a frantumi,
nello specchio rovesciato
del mondo.

*

Non so quale risorta carne
quale vita eterna.
Qui ancora passano gli anni
come delitti,
non li conta più
la terra
e dai camposanti si leva
una nebbia oscura
che entra piano
nelle nostre case.
Com’è lento per noi,
com’è lontano
il perdono dei morti
che sulla soglia
attendiamo.

*

Qualcuno ascolta
da un pianerottolo vuoto
e chiama improvvisamente
i morti, le voci che dalle porte
corrono fino alle ultime
piazze della città
e vorrebbe capire il suo
segreto, quel taglio che da anni
gli scava il petto
e invece piange,
piange in silenzio, piange
per tutti.

*

Questa fanciullezza dei morti
come un vento lieve
che passa tra i boschi,
o l’eternità
muta del cielo insieme
agli anni, a tutti
i ricordi come
nuvole disperse,
ai passi
quasi a mezz’aria,
senza più carne,
soli
sul breve sentiero.

*

Quelli che cadevano dai tetti
o dai balconi
in silenzio
come ombre innamorate
del vuoto,
fin dove il buio, fin dove
i miei sogni d’infanzia,
i miei occhi chiusi
senza chiedermi perché
come fosse normale
per me
per loro
precipitare così
sempre più giù
sempre più
lontani
in quel volo
fra tutto e
niente
in quella caduta
infinita
dalla casa di fronte.

*

Dal deserto

Veniva dal deserto quel tuo
nome d’infanzia, quella
promessa donata al mattino.
E l’ora precisa rubò
tutte le vie, un turbine accese
i frammenti del cielo.
Solo così risuscitarono
i morti e nel petto risuonò
l’antica voce dimenticata,
il sangue versato in ogni
cattedrale, il battito
che non conosce il tempo.

*

Infanzia

È tornata l’infanzia
come un segreto
e tutto s’è perduto
nel cielo, tutto
è finito nell’istante
infinito del vero.


Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato volumi di poesia e narrativa e si è occupato di numerosi autori classici e contemporanei. Suoi saggi, poesie e recensioni sono apparsi su diverse riviste cartacee e online. In ambito critico ha curato il volume L’attesa e l’ignotoL’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio, 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice). Gran parte della sua produzione poetica è compresa nella raccolta Prima del sempre (puntoacapo, 2024). In ambito narrativo ha pubblicato  Storie di un’altra storia (Calibano, 2022), Tra tempo e tempo (Readaction, 2022) e Reticenze (Fallone, 2024). Gestisce il blog “in-certi confini”.


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