
Dalla prefazione di Franca Alaimo
“Oscura” è la definizione che darei della poesia di Stefania Giammillaro, intendendo con tale aggettivo sottolineare non solo la qualità predominante di un teatro mentale ossessionato da una dolente esperienza autobiografica; ma anche la caratteristica formale della sua trasposizione in versi lessicalmente drammatici (vi ricorrono sostantivi quali: ‘coltello’, ‘stimmate’, ‘spine’; espressioni quali: ‘gomiti viola’, ‘grumi di sangue’; e tanti verbi attinenti alla violenza fisica), e spesso alogici per la presenza di simboli e immagini inusitate (in rapporto ad una tematica sempre più sfruttata), a meno che non si dia credito alla supposizione che nello spazio fra i termini accostati, come sembrerebbe, forzosamente, si celi in realtà il molto del non-detto per una sorta di pudore dell’autrice, che, censurati i termini frammezzo, espliciti gli estremi di un ricordo udibile per intero solo da parte di chi provi ad afferrarlo con uno slancio d’immaginazione … L’autrice, nel raccontare l’esperienza autobiografica di un rapporto amoroso insano (uno dei tanti in cui l’amante verbalmente e gestualmente violento, considera il corpo dell’amata come oggetto di desiderio e di dominio, senza la grazia di uno sguardo autentico rivolto alla persona), sembra quasi innestare le sue parole nell’intrico spinoso di una memoria ancora sanguinante di delusione, amarezza, disperazione, supplica, tormento, trovando infine una risoluzione nel perdono divino e nell’auto-perdono, tema che viene sviluppato nell’ultima delle tre sezioni del libro e ribadito nell’epilogo (un testo in dialetto siciliano, quasi con l’intento di recuperare la purezza anche sonora dell’infanzia), in cui la vittima si emancipa finalmente dal giudizio della società dei benpensanti (compresa la cerchia parentale), lasciando a testamento ‘’na cunnanna / na ninna nanna d’amuri / ca comu sciroccu / ciusciando rina’’, ricordando che ‘’gli occhi servono a guardare / solo quando il cuore non ha più nulla da donare’’ […]
Non il tempo di raffreddare
il letto dalle lenzuola del corpo
che tu giaci ancora
sull’utero strappato
al viatico del sogno.
*
La voragine si piega
all’abuso di se stessa
quando non v’è più certezza
del candore che commuove
I tuoi occhi
addosso alla mia innocenza
ne fanno scempio
senza fatica
È violenza non udita
le tue dita nel mio grembo
codice segreto senza sicurezza
Saperti proprietario di ciò che non sono
è l’unica vendetta
che non un giorno
prega riscatto.
*
Nulla è perduto
tutto è adesso
Non sono viva nel ricordo
nell’ossessione
di quel che avrei potuto
La carne è in questo pizzicotto
che giro di traverso per sentirmi
quando non distrae il mare
La parola è ponte che attraversa
la possibilità di perdonarmi
allo specchio dei rimorsi
E se sanguino
sanguinerò per partorirmi
https://www.italicpequod.it/books/errata-complice/
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