Cobalto tra gli orti e sui sentieri,
pietre grige roventi e acquattarsi
circondati da kiwi, ciliegi e gelsi.
I muschi mi gettano nell’abisso:
odore di acqua e di morte quotidiana,
si chinano gli steli per macchiarmi
di azzurro e forza per sognare,
mi manca il terreno e la pazienza,
per perdermi tra questi tronchi
e rivedere i vizi duttili
della mia infanzia.

Dalle fronde al buio,
lì giace l’asfissia della certezza
ed è una palese sorpresa
che anche lei, come le mie notti,
fosse malata di cancro.

*

Si è coricato su di me il rimorso,
come un campo di grano assonnato
abitato solo dall’indicibile e dal silenzio,
elargisce confini e neri arbusti
e incastra Dio tra le tartarughe,
come un tranello di spiagge e nuvole,
edificato sulle impronte di marmi e cieli.

I giorni sono caldi palazzi per alterchi
che ridestano le mie impossibilità
e l’ambizione di sopravvivenza,
si sveglia, ancora, l’insaziabile innamorarsi
dei miei inesaudibili desideri.

*

È un mondo orribile quello che ti lascio,
privo di poeti e sognatori, becero e crudele,
educato a soffocarti,
mutevole, solo per tornare se stesso,
implacabile persino con la polvere.

Trova un incavo lontano,
dove regna il buio e il silenzio,
ma non indugiare, dillo alla tua prole,
la colpa profonda, insopportabile,
di aver perso in partenza,
condannare a vita a un accettabile dolore.
Non ho che questo da lasciarti,
oltre la glossofobia, il mio respiro diverso,
l’amore e un suo remoto storpio senso.

*

Serve ancora bere queste amare parole,
la mia compagnia, erede della ferocia d’inchiostro,
ha smesso di zittire il futuribile,
e ora mi rimangono solo sogni di uova e sigarette,
dove accoppiarmi incredulo con l’ablazione di nemici.

Appassire e rimanere a guardare
le ere al termine e la bellezza vergine
e amanti obsoleti, che come noi,
nella parola trovano solo
una scomoda futilità.

*

C’è un lessico turchese che non riesco
a cogliere, tra capanne di curcuma,
ogni giorno mi invita a un’infanzia
mentre riporto morti bambini
e affronto un lutto bucaneve
tra suoni di aerei, magrezze e voci
che non ce la fanno più.

Ho respirato l’adesso e la sua vera età,
che non inizia da Cristo ma da te e me,
e collega l’oppio nero dei figli
alle catene violacee dei papaveri dei padri.

Brucio del cirmolo sulla fronte abbronzata,
per profumare le perdite che ho tra le mani.



 

 


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