dalla prefazione di Cristina Daglio

Entrare nella scrittura di Ivan Fedeli è immergersi in un articolato lavoro di narrazione del quotidiano. Una poesia fatta di immagini, persone e luoghi riconoscibili e comuni: se la base della scrittura di Fedeli è la Lombardia, l’intorno del Lambro, la vita nei quartieri della grande città, è altrettanto vero che il lettore può traslare quel pensiero, quella situazione poetica, in qualsiasi luogo, ambiente e situazione sia per lui familiare. Fedeli descrive e riscrive, attraverso le lenti del proprio sentire, il mondo come uno scrigno che custodisce una bellezza della quale forse non siamo partecipi, ovvero la vita comune delle persone comuni in un mondo che grida “siamo fuori tempo massimo”. Lo fa senza retorica. In ogni singola poesia Fedeli crea un quadro perfetto, equilibrato e formalmente ineccepibile, nel quale l’osservatore, il soggetto e l’oggetto dell’azione si mescolano e comunicano tra loro quasi a voler essere un unico caleidoscopio della situazione. […]

 


Non di noi domani qui ti diranno
ma di noi altrove in qualche luogo d’altri
e nostro come fossero le nuvole
le stesse nuvole di sempre e gli alberi
le case tutto fedele a sé tutto
già dato vissuto e da vivere tu
annoda il fazzoletto trova forma
per le cose a ricordarle ancora darle
alle parole così tue così mie
da tenerle care non sciuparne
nome identità storia. Torneremo
dunque agli orecchini a penne e anelli
che dimentichi chissà nulla andrà
perduto neanche il gatto del vicino
la tazza azzurra del latte il silenzio.
E resteremo lì senza restare.

 

*

Sa di città la ragazza con gli occhiali
mentre conta margherite e petali
in attesa di sole. Scrive lettere
d’amore in silenzio e ha un’aria pulita
come una domenica al lago. Fa
la rivoluzione così leggendo
Heidegger al cane e sorride quasi
nel sorriso avvolgesse lei e noi.
La chiamano poi da lontano e s’alza
nella camicia bianca con la grazia
delle nuvole. Appartiene all’età
di chi sogna e tu pensi alle idee
che cercano il cielo senza fermarsi
mai. Cose care queste alla vita
e tremende raccontano i poeti
di qui e Milano scivola via dopo
il Lambro e le panchine zoppe al parco,
quella loro poesia di baci
corsari e pioppi uno via l’altro
sospesi fino a perdersi felici.

 

*

Tutto a posto allora, anche la bolletta
del gas i cassetti in cucina il cielo
di un giorno che va. Ti devo un chissà
o un forse un avrei potuto almeno
mentre tu pensi alle cose all’auto
col pieno o a quanto la vita sia vita
da sempre proprio adesso in un settembre
cocciuto tra case in affitto tra voci
nei bar. Così nascere dare un numero
ai passi contare il tempo e altro tempo
ancora fino al numero che sai
al numero che puoi. Esistere poi
meraviglia e fallimento di chi
corre scivola teme sogna spera
prima di ogni possibile dolcezza
di te di me di noi di quanto accade
ovunque e non lo sai. Da qui io ti chiamo
da questa terra che non ha parole.

 


Ivan Fedeli (1964) insegna lettere e si occupa di didattica della scrittura. Ha pubblicato diversi percorsi poetici, tra cui Dialoghi a distanza in Sette poeti del Premio Montale, Crocetti; Virus, ed.Dot.Com.Pres; A margine, Ladolfi editore. Con puntoacapo editrice ha pubblicato: Campo lungo, 2014, Premio Casentino; Gli occhiali di Sartre, 2016, Premio San Domenichino e Premio Vent’anni di Atelier; La meraviglia, 2018, finalista Premio Caput Gauri; La buona educazione, 2020, Cose di provincia, 2022.

 

https://www.pellegrinieditore.it/la-gioia-elementare/ 


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