L’estremo forte degli occhi di Cettina Caliò suggerisce l’accostamento a una sonata. La scansione in quattro tempi, Uno, Due, Tre, Quattro, con misurata compostezza di ritmo, gestito con lucido autocontrollo, affronta il tema dello stare nella vita e nelle cose che accadono in dialettica interna col vedere la vita, il dolore della perdita, della mancanza, del rovinare delle cose. La poeta è un passeggero che vive nel sollievo vibrante / delle mie valigie e nella memoria soccorrevole che è casa // si fa struttura portante, assorta e scarna, senza alone d’elegia, di rimpianto. Anche essa è pura esperienza, nient’altro. Il suo viaggio è un νόστος, lungo la via traversa … per esistenze smarrite … per tornare a sé stessa. Nell’esperienza dei giorni che le accadono Cettina Caliò si ferma su l’inciampo ardente di te su cui costruisce la sua poesia della perdita e dell’assenza, l’amarezza fredda / della fronte sul vetro / a vegliare la pena dei muri, sola per desiderio di lontananza. Ha uno sguardo passante sulle cose attento all’ombra, alla precarietà, la tazzina posata sul tavolo / il cigolio della porta d’ingresso … il gesto / passa in un fruscio… La parola nuda, carnale, del registro quotidiano sorge dal silenzio, dallo spazio bianco del foglio, che funge da amplificatore del senso, essa è appena una traccia di matita, coerente con un’esistenza scarnificata. Ma nell’atto di scrivere la poeta si azzurra e trova qualche volta / l’ubiquità della grazia, percepisce cose che non sapeva potesse sentire. La commozione del verbo all’infinito si contrappone al tempo strappato. Le fratture e i crolli si sciolgono nel ringraziamento di ogni cielo, nel canto dove restare, secondo l’epigrafe di Mauro Curcuruto alla sezione Quattro dell’opera. L’ambivalenza connota l’opera sin dal titolo L’estremo forte degli occhi, dove forte vale come aggettivo, ma anche come sostantivo, allo stesso modo dell’assenza dell’amore ma anche dell’amore dell’assente.

Gabriella Maggio

 

Per fratture e per crolli
per esistenze smarrite
nella costanza della nostalgia
nello spavento della durata

si va a precipizio

in un destino di cieli stretti
nella magrezza del fiato

minuziosamente

si va
da soli
per desiderio di lontananza

*

Nel disincanto del ventre
impetuoso vieni
a cercarmi rotto
il grido

in bilico

trema il tempo strappato
e commuove
ogni verbo all’infinito


*

Mi sgrano i segni e il senso
sul limitare della cenere
concentrica me ne sto

mi setaccio il pianto e il pane
dovendomi vivere

mi sorrido fra le fughe
del tuo esistermi
in azzurre risonanze di grigio

e ringrazio ogni cielo

 


Cettina Caliò è nata a Catania nel 1973. Scrive poesia e prosa. Traduce dal francese. Cura libri. Ha pubblicato: Poesie (1995), L’affanno dei verbi servili (2005), Tra il condizionale e l’indicativo (2007), Sulla cruda pelle (2012), La forma detenuta (2018), Di tu in noi (La nave di Teseo 2021).

 

L’estremo forte degli occhi

 


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