lo stupore quando dormi
i gherigli delle noci
trasformati in chitarrine
poi le foglie dei viticci
di settembre nel giardino
*
l’ombra sbieca al marciapiede
) neutrale vi s’ingorga
il marzo polveroso (
nello spazio del saluto
quasi bianco il cielo
non ci sarà _ pare _
nessun tramonto silenzioso
*
i segni sulle cose
e i muri d’umido
le ombre sulle scale
si dicono silenzi
il pianto e una lampada
dietro la finestra
__________________
“La poesia è necessità d’Altro e si scrive se Egli vuole. Non è narrazione dell’effimero ma effimero elevato a e(s)terno. La (mia) poesia è pura possessione e necrosi ricorsiva del trapassato presente, del morto ora. In epoca postdigitale. Mortuus Inconclus. La (mia) poesia, il suo fratello comico tele_invasivo l’ha travisata in sorellastra misconosciuta. E ecco che non v’è miglior poesia del comico inciampo che, sollevato dall’imbarazzo di non essere troppo volgare, s’involi a volo meravigliato del proprio incosciente gioco simbolico e sublime. Non che si debba ridicolizzare il dato poetico, ma pensarlo in alternanza al risibile, sì. Per una questione di spazi, di pianofortistica dialettica. Non parlo alla memoria, mi rivolgo al sublimine, all’inconsapevole, elettrico, in questo caso. In ogni caso, ormai. Mai ai morti, che sono fin troppo vivi. Il mio_poetico è la de_merda del mio_comico. Mi reputo poeta del soggetto. Il poeta del soggetto non sa di esserlo, non sa di essere poeta, non sa di essere soggetto al linguaggio poetico, è più simile a un comico, a un lapsus, a un inciampo della parola. Si nasce poeti dell’io e finché non si apprende a essere poeti del soggetto, difficilmente si è ospitati dalla poesia. Io non smetto di apprendere la differenza. Per dire, il poeta dell’io pone attenzione o alla musicalità a priori e a posteriori, alla precognizione del prodotto finale, ma anche alla non musicalità, il poeta dell’io, in fine e soprattutto all’inizio, si pone pregiudizialmente in un bello da elevare a gusto e norma, e aggruppa altri simili belli, si pone in un aut contro un altro aut. Il poeta del soggetto rintraccia poesia in ogni bello: un sonetto, un verso sciolto, un grido, un rutto. La poesia non si formalizza perché è versatile. La poesia del soggetto è quella più vicina all’origine cantata e non scritta, orata e oracolare, al vento, al fiato, certo: esistono vari strumenti a fiato che danno fiato a diversi suoni, ma nessun suono è poesia, quanto medium che la presentifica, dunque si dovrebbe tendere al polistrumentismo per abbandonarsi ed essere ospitati dalla poesia. Il poeta del soggetto non sa di scrivere, e non pone attenzione alcuna al desiderio di musicalità o di ricercata assenza della stessa, che è poi presenza al quadrato della musicalità medesima, una negazione che afferma. E allora il poeta del soggetto è descritto dal suo stesso gesto interiore e non ripeterà che raramente una stessa descrittura: ora musicale, ora sciolto, ora cibernetico, ora presente ora passato, non sa, il poeta del soggetto non sa. È saputo. E cerca, nei limiti dell’impossibile, di scordare ogni conoscenza, per restituire alla poesia il suo soffio, cioè la mancanza. (E non è detto che domani non cambi idea a proposito, non chi è scritto, ma la poesia, che scrive).”
Gianluca Garrapa è nato nel 1975, in un ridente paesino della provincia di Lecce, è laureato in Lettere Moderne all’Università di Pisa, conduce la trasmissione radiofonica Radio Questa Sera insieme a Bernardo Cirillo presso Punto Radio Cascina http://www.mixcloud.com/QuestaSera; ama dipingere, scrivere romanzi, racconti, poesie. In passato è stato anche performer. Nel tempo libero lavora come Counselor.