L’insostenibile corposità dell’essere
Profondamente sensuale, provocatoria, disinibita. Colma di incoscienza e senza il minimo bisogno di collocarsi in alcuno spazio o tempo, al centro esatto dell’irruenza vitale senza possibilità di mediazione e interpretazione. Ogni parola è profezia di ciò che è già rappreso nella memoria e che nella sua connaturata essenza provoca lo stupore dell’autenticità.
Questa è la poesia di Ana Rossetti(San Fernando, Cadice 1950),che coinvolge e seduce col suo eros spontaneo e per questo irriducibile; con l’appropriazione irriverente della religione e della sua terminologia a varcare le delimitazioni espressive stabilite dalla società; con la sua prepotente femminilità che non obbedisce più ad alcuna imposizione maschile, ma che al contrario conduce e comanda.
Forse non abbastanza conosciuta al di fuori degli ambienti culturali spagnoli, quella di Ana Rossetti resta tuttavia una voce esemplare, che ha saputo condensare le atmosfere della ‘movida’ spagnola degli anni ’80-’90 in una scrittura altrettanto infervorata e sanguigna, portatrice quanto istigatrice di quella ricerca del piacere che è pulsione universale. Ed è nell’eloquenza stessa dei suoi versi che possiamo riconoscere quest’inconfutabile verità dell’essere- soprattutto donna . Perchè, in questo tumulto di sessi e sensi, è ora la creatura femminile a lanciare il grido più alto. A divenire fiera della sua stirpe. Non più supplichevole amante, ma colei che ama. Senza chiedere né aspettare consensi.

Il mio giardino dei supplizi

Nel giardino segreto, sotto l’albero,
lentamente, molto lentamente, slegasti le mie trecce
e dopo, impetuoso, perché io sentivo freddo
ed ostinatamente resistevo, strappasti i miei vestiti.
Con cingolo di lungo rampicante
la stropicciata organza,che serviva da coperta
alla culla comune, esperto mi cingesti.
Nella silenziosa ora, molto lontano dai genitori,
con succo di gerani la bocca mi hai dipinto
ed arborei bracciali ai miei brevi malleoli
si attorcigliarono.
Ballai furiosamente.
Quale alone dietro di me rigonfiò la tunica,
intorno a te ispessivano i cerchi dei miei segni.
Io, diversa tanagra, evasivo alloro
e tu immobile. Perfettamente immobile
tranne il braccio con cui mi flagellavi.

Istigazione

Scappiamo, fuggiamo verso i complici
giorni dell’infanzia. Perdiamoci inermi
nelle intense vertigini della pelle ancora incerta.
Confusi, non trovando i nomi
per tanto stupore, inventeremo formule
di una lingua segreta: come allora.
Smarriamoci nel grande incubo
della notte. Nei neri corridoi
dell’orrore proseguiamo fino a che non ci colga
-piegati sulle ginocchia- il fedele svenimento.
Vieni. Guardiamo in ogni serratura
che ci possa nascondere qualcosa di proibito,
con rito solenne uccidiamo le farfalle di vetro,
imbrattiamo la seta, laceriamo il tulle
che vela le magnolie,
e la disobbedienza sia nostro privilegio.

Inconfessabile

È tanto adorabile introdurmi
nel suo letto, mentre la mia mano vagante
riposa, negligente, tra le sue gambe,
e sguainando la colonna tersa
– il suo cimiero rosso e succoso
avrà il sapore delle fragole, piccante –
presenziare l’inesperta espressione
della sua anatomia che non sa ancora usare,
mostrare l’arrossata incastonatura
all’indeciso dito, mentre con perfide
e precise dosi gli si somministra
audacia.È adorabile pervertire
un ragazzo, estrargli dal ventre
verginale quella ruggente tenerezza
tanto simile al rantolo finale
di un agonizzante, che è impossibile
non condurlo a sfinirsi mentre eiacula.

Sylvia Pallaracci