Nicola Romano su “Le cassette di Aznavour” di Nicola Grato
(Macabor)
Con un’immagine che mi è giunta in maniera spontanea e sicuramente poco letteraria, ma che comunque ben si adatta alla coloritura di quotidianità che Nicola Grato riesce a imprimere ai suoi versi, mi piace dire che leggere la sua poesia è come indossare un paio di scarpe comode, di quelle che ognuno di noi tiene in serbo, per poi andare per strada senza pena alcuna, anche perché – spieghiamo la sensazione – la poesia di Grato è calvinanamente “leggera”, è morbida, è gradevolmente “istantanea”, nel senso che non s’avventura, ed è un pregio, in funambolismi verbali: sembra essere, la sua, una poesia che a primo acchito non abbia molto da raccontare ma che riporta, nel suo soffice incedere, un largo respiro di cose perdute o trascurate, che sa egli rivificare e racchiudere dentro una particolare e personale visione memoriale, volta a rappresentare proficuamente un nuovo punto di osservazione costituito dai sensi e dalla corporeità del tempo presente.
Chiamiamola operazione di recupero, definiamolo sprone per una riesumazione quasi onirica in seno ad una memoria collettiva, di sicuro il nostro autore si muove dentro certe atmosfere connotate, secondo me, dalla vera essenzialità del vivere e dall’umiltà della condizione umana, oltre al fatto che egli mette decisamente in atto la sua mediazione in senso poetico.
Pensavamo già questo, leggendo suoi versi sparsi come pure i versi del suo “Inventario per il macellaio”, del 2018, ma ribadiamo ancor di più la sua continua immersione su fatti e luoghi che hanno la caratteristica dell’evocazione o del rimando (attraverso alcuni intimi e pacati stupori che si fanno lingua, lingua delle cose e quindi lingua dell’Essere) leggendo l’ultima sua raccolta dal titolo “Le cassette di Aznavour”, edita nel marzo scorso dalla “Macabor” di Bonifacio Vincenzi.
Ecco che qui, dal solo titolo, appare evidente il “recupero” di certe cose andate ma che adesso tornano a farsi ricordare intimamente importanti per quelli che sono stati taluni interessi, fors’anche ormai sopiti, del nostro vissuto: molti di noi hanno amato Aznavour, hanno sognato attraverso le sue canzoni caratterizzate da una quasi lamentosa ma originale voce e da un profondo melos; ma quelle musicassette rimangono conservate in casa e chissà dove giacciono, dal momento che non si hanno più gli adeguati riproduttori, ormai superati dai lettori di CD e DVD.
Giorgio Caproni a suo tempo ebbe a dire che non riusciva a concepire una poesia dove non ci fosse stata almeno una posata o un bicchiere: ma, se è per questo, gli arredi inerenti alla quotidianità non mancano nella poesia di Nicola Grato, anzi l’accostamento dei sintagmi vanno proprio a creare degli ossimori concettuali e d’immagini se, per esempio, al sensuale “hai indovinato un vento sul balcone” si contrappone “la pasta coi broccoli in tegame” oppure se al lirico “servire per il bene la pena delle notti” s’interfaccia poi “come segnalibro uno scontrino” e, ancora, se al tenero “l’amore che hai amato non perdona” corrispondono poi “i cugini a portare il gelo di mellone”.
Pertanto, si può dire senza meno che l’insieme dei dati (immagini, ricordi) nel tempo fluiti nell’inconscio del nostro autore sembra giungere adesso ad una fase di rivelazione per restituire con piena consapevolezza una sentita e sospirata realizzazione del proprio “sé”, in questo caso poetante.
Insomma, a noi lettori la poesia di Nicola Grato reca un continuo scuotimento, i versi ci innalzano talora su piattaforme rarefatte che inducono al pensiero ed alla riflessione ma poi, all’improvviso e come l’allegro precipitare dell’otto volante, ci si ritrova attirati e coinvolti in uno scenario molto domestico che sentiamo nostro e che in buona sostanza ci appartiene, ci fa stare bene, poi che le parole sanno tramutarsi in immagini una volta consuete ma perdute nel pozzo della modernità e dell’evoluzione tecnologica, e allora capita benissimo – leggendo – di vedere aprire “il bar Stella Artois”, di avere davanti chi fuma una “Lido” appena alzato, o di ascoltare il gorgoglio del caffè che esce dalla Bialetti.
Frammenti di vita effettiva, dettagli che Grato fa esplodere lungo quelle vie che, apparentemente semplici, sanno condurre alle soglie dell’anima!