*

Pensieri e monumenti

A volte viene
la distrazione
che hanno negli occhi gli angeli,
a guardare le vie che vanno
mentre si viaggia
stretti alla stessa stanga.

In treno, o in autobus,
capita di vedere
uno in mezzo alla calca
che s’è incantato.
Fuori gli alberi passano,
la gente lo scavalca,
e lui sta lì,
preso nel suo pensiero.

Quando alza gli occhi
e vede che l’hanno visto
si riaggiusta la giacca, guarda l’ora,
infila le mani in tasca.
Perché uno, quello che ha dentro
è lontanissimo e nascosto,
ma intanto si rimane lì per tutti,
in piazza, come un monumento.

*

Qui

Stare fermi, ridere, dormire,
muoversi voglio dire, correre,
si può. Ma non si può mancare
a quello che porta via,
che porta qui dove si è sempre, nel posto
dove i posti si trovano, qui, dove
qualcosa importa.

E qui si sta, come un cane
lasciato chiuso in macchina
al sole, in un piazzale quasi vuoto,
una bestia che per ogni cric nella ghiaia
drizza le orecchie, e si scuote al minimo suono
di passi, lontano, o di risate.

Io provo a pensare, e ragiono,
e dentro sento tutta la testa che abbaia.

*

Pedone

Pensare fa paura. Fa paura
sollevarsi dal mondo, lasciare
il mondo – questo, che ci tiene –
per averlo davanti.

Andiamo in giro
in una scena familiare:
nuvole, muri, piante; ma non possiamo
abbracciarla, capire fino in fondo.
Siamo lontani dalle cose vere
che abbiamo intorno.
Siamo in errore.

Eppure a volte uno lo vede bene
il suo errore, lì, com’è fatto,
lo sente come parla e come si muove
dentro, e la voce esatta che ha.

*

Apparizione

Alte sopra la tangenziale, chiare,
due case con in mezzo un capannone.
È questa l’apparizione,
ma non c’è niente da annunciare.

Eppure solo a vederli
là fermi, diritti davanti al sole,
i muri ti consolano
più di qualsiasi parola.

Cancellate, ringhiere,
scale, colonne, cornicioni:
ha l’aria, tutto, come se qualcuno
dovesse veramente rimanere.

*

Terra

Alle sei del mattino, quando premi
il pulsante del pianterreno
mentre la testa, già stanca,
continua il suo sogno, sai bene
che per avere fatto quello
che andava fatto, né qui
né in qualche paradiso ci sono premi.

Ma in basso, quando si aprono
le porte dell’ascensore,
ecco le cose là fuori, belle e pure
dentro la prima luce. Le cose
vanno fatte per bene. Le cose stanno
come stanno, e questo a te sembra amore.

Ti segue lo sguardo buono
di un muro cieco o di un cavalcavia
mentre cammini. È questo il tuo castigo
e il tuo premio e la tua sola compagnia.

*

Umberto Fiori, Esempi, Marcos y Marcos, 2004

Umberto Fiori è nato a Sarzana nel 1949, dal 1954 vive a Milano, dove si è laureato in filosofia. Negli anni ’70 ha fatto parte, come cantante e autore di canzoni, degli Stormy Six, gruppo storico del rock italiano. È autore di saggi e interventi critici sulla musica, Scrivere con la voce (Unicopli, 2003) e sulla letteratura, La poesia è un fischio (Marcos y Marcos, 2007), Il metro di Caino (Castelvecchi, 2022), Le case vogliono dire (Manni, 2023); di un romanzo, La vera storia di Boy Bantàm (Le Lettere, 2007) e del Dialogo della creanza (LietoColle, 2007). In poesia ha pubblicato: Case (San Marco dei Giustiniani, 1986), Esempi (Marcos y Marcos, 1992, 2004), Chiarimenti (Marcos y Marcos, 1995), Parlare al muro (con immagini del pittore Marco Petrus, Marcos y Marcos, 1996), Tutti (Marcos y Marcos, 1998), La bella vista (Marcos y Marcos, 2002), Voi (Mondadori, 2009), Poesie. 1986-2014 (Mondadori, 2009, 2014), Il Conoscente (Marcos y Marcos,  2019) e Autoritratto automatico (Garzanti, 2023), finalista al Premio Strega Poesia.


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