1000339349Amo la poesia sin da piccolo ed è anche per questo che ho intrapreso studi letterari. Insegno letteratura e ho la fortuna di condividere questa passione con i miei studenti, cercando di infonderla anche in loro. Ritengo che la poesia, soprattutto quella lirica, sia qualcosa che debba giungere all’orecchio: la tessitura fonetica e il ritmo devono, ove possibile, avere un ruolo decisivo. A proposito di ascolto, ho iniziato a scrivere versi proprio nel momento in cui sentivo il bisogno di essere ascoltato per affrontare un terremoto interiore. 
Buona parte dei miei componimenti ruota intorno al desiderio e all’assenza. Il corpo e la notte, il silenzio e la luce sono delle presenze ricorrenti, in un dialogo costante tra tensione e perdita. Spesso cerco nella forma metrica un rifugio che ovvi al vuoto di cui i miei testi raccontano. Altre volte, invece, le mie poesie si muovono nel quotidiano con uno sguardo ora dubbioso, ora esagitato,  esplorando la solitudine, il tempo e l’incertezza. In questi casi i componimenti si svincolano dagli schemi tradizionali e cerco soluzioni originali che riflettano il movimento del pensiero e dell’esperienza. Sono le volte in cui l’ironia e l’inquietudine si intrecciano, lasciando emergere domande più che risposte.
Non è per me poesia la rinuncia a provare a esprimere l’inesprimibile.  È forse invece poesia un urlo che si fa suono. E quest’urlo, nell’ultimo periodo, è diventato parte della mia voce.


In transito

Vado a zonzo,
non so bene dove.
Seguo i miei piedi
come si segue una frase
in una pagina di un libro
aperto a caso,
senza sapere se,
giunto al punto,
vorrò proseguire.
Di certo, passeggiare,
così come leggere,
aiuta a trovare risposte.
Anzi, non proprio.
Domande, piuttosto.
Il riflesso di una vetrina
mostra un viso in movimento,
scomposto da un manichino
con un trench in gabardine
(color cammello)
e un dolcevita a coste
(grigio scuro).
Non faccio caso ai pantaloni.
Quanto al volto,
dovrebbe essere il mio.
Almeno credo,
riconoscersi non è scontato.

Giungo a delle strisce.
Attraversare o restare?
Ecco un’altra domanda.
Questa è più grande del previsto.
Un semaforo lampeggia ansioso,
non mi aiuta nella scelta.
Sosto sul marciapiede incerto.
Infine, un clacson decide per me.
Forse nel traffico
non c’è molta poesia.
Ma almeno
mi ha rimesso in moto.

*

Nox atra cava circumvolat umbra

ascolto la voce scorre nella gola
raschia le pareti si schianta in fondo
ritorna poi il silenzio quell’immondo
un buco dentro il niente che m’immola

arriva la notte ebbra che barcolla
porta la sua eco storta senza sfondo
suono che tace fermo dentro al mondo
un’immagine che urla e non si scrolla

e resta il passo in bilico sospeso
l’ombra morde addentando sotto i piedi
la vita sprofonda in un nero acceso

resiste quel ricordo esasperato
l’amore bastardo non ha rimedi
vuoto a rendere non riconsegnato

*

Nos quoque floruimus, sed flos erat ille caducus

Mi dirigo sulle strade di marzo.
Corro finché resisto, l’ombra sfiora
l’asfalto frantumato dalle attese.
Resta muta la casa erta sul campo.

Chiedo alle margherite con le dita
inquiete. I petali gialli cadono
vorticando lungo i passi veloci,
i non deturpano il volto del cielo.

La primavera si schianta sul mondo:
fiato di terra che torna a salire.
Entra nel naso, si avventa sul petto,
il verde azzanna e lascia il suo vuoto.

Arrivo alla chiesa di pietre e sogni,
sento l’eco di un sì mai pronunciato.
Il fiore di un pesco cade appassito.
Il sole insiste, ma resta l’inverno.


Jacopo Pignatiello si è laureato in Filologia Moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “Federico II”, con una tesi in Letterature comparate. Attualmente insegna discipline storiche e letterarie nelle scuole superiori. Ha curato contributi di ricerca letteraria e storica pubblicati in periodici, atti di convegni e miscellanee. Alcuni suoi componimenti sono apparsi su delle riviste online e in delle antologie poetiche.


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