Nel mio primo nome ho la terra e mani
di mietitura, quando il cielo è un altro
zodiaco e selci roventi di serpi.
Nei muri a secco germogliano rovi,
impermanenti spine. Si difende
la radice dal cobalto, con aglio
e tagete. Se incrina e muore è noce
per afidi e corvi.

*

Nel mio terzo nome ho l’armatura,
fumo di sterpi, roghi su pianure,
alture, querce. Schierati eserciti
e nebbia di cavalcature, sordo
propagare; le voci delle lance.
Sotto archi di granito, confessa:
sei tu la rossa domanda che muove
a sé il bianco.

*

Sai, Geraldina, non era riparo
sotto al castagno, e tu che lo credevi
regno senza acredine, né ristagni.
Disegna la tua linea d’ombra muta,
e ferra la tua cotta non smagliata,
Geraldina, tu che scambi l’alfiere
col cavallo, che illusa di muoverti
a Elle scegli lo stallo.

*

E che animale sarai questa notte,
Marta. Priva di crisantemi, calzi
anime di caprioli e fortuite
identità. Se per un crepacuore
o un dialogo col chierico del nulla
ti arrendi alle vocali tronfie, ridi
e pretendi, che ti fai sfatare e vai
serissima della tua nudità.

*

Emilia, coi titoli ti sia lieve
la firma che riponesti in scaffali.
Nelle vene la neve è lievito, no
austerità. È la postilla, col mite
e miele del tuo nome, lento e serio,
che ne asseconda il banale. Al limite
del lunedì, tu sii fluviale, Emilia,
non è il male.

*

Filomena, nera siepe di bosso,
e l’amareno che non fioriva mai,
come il tuo bassoventre. Ma sul filo
di rame accòrdati a un sorso – o niente.
Come se fosse ieri, sulla sposa
pesano le dita; non confermano.
Sul collo disfa il boccolo, l’anello
resta inamidato.

*

Wanda stasera ha sessant’anni, dice,
di agrifogli e acquasantiere sbeccate.
Nel cielo di mezzo, dice, ho Saturno
in Scorpione e cuticole su un cuore
di mercurio. Se fedele al farmaco,
dissolve l’oro – carne di vipera,
oppio – non assolvere il verso amaro,
ma storna la piaga di bocca.

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poesia “è una parola dire io”

 

Giorgia Meriggi è nata a Milano nel 1966. Laureata in filosofia, da dodici anni vive sulle colline dell’Oltrepò pavese.