Non c’è una prima frase da cui partire. Un pensiero che sia più importante dell’altro, perché quello che accade quande il verso “si fa” è uno stare in mezzo alle cose, alla distesa infinita di possibilità dell’io. Non si tratta però di soggetto-io, piuttosto di un io-diffuso, oltre se stesso.
E’ essere coraggiosi. Essere capaci di sostenere la propria inadeguatezza, farne una risorsa. Sopportare di non poter sapere e tuttavia cercare di approssimarsi ad un territorio che è come sul punto di crollare, che la parola tiene insieme. Poesia è approssimarsi. A cosa? Alla verità.
Rinominare le cose. Tenerle a battesimo, dopo averle sbattezzate, averne visto il baratro. Solo un mondo ricreato, ri-sognato, può essere di nuovo abitato.
E’ lo spazio intorno alla parola e all’essere, “questo essere nostro che slegato si estende / tutto impastato di infinità”, come scrive Mariangela Gualtieri.
La poesia è sempre eversiva. E’ coraggio, abbandono del “detto”, in favore del “dire”. E’ un forse che si abbandona all’essere incompleti, attenzione e dubbio, forza.
La poesia è ciò che c’è quando non ci sono io.
Non so, mi pare che la parola mi cancelli mentre mi nomina. Perché dice sempre qualcos’altro, qualcosa di non scritto, di non scrivibile.
*
La tua luce si nega, mostrandosi.
Mio unico orizzonte, sei il perpetuo sottrarsi
del desiderio. Meglio chiudere gli occhi
e sparire, perché è follia
questo cadere incessante nell’impossibile,
no e ancora no
ripetuto e sconfesso
costante precipitare.
*
Mare, che non sai del disincanto
vento, che bruci il risvolto delle cose
l’altro lato del mondo.
Sono tornata nel ventre
a capo del mio innaturale cammino
e svanisce il percorso consueto
in pochi amari gesti.
Nel luogo che non so
ricerco una voce, un nudo
controcanto di vergine sibilla.
Si perpetua nelle vene lo scorrere infausto
e non ostacolo
non sbarro il passo
ma come è difficile restare
mentre forse tutto ho sognato
anche il sogno, la sua innocente ferita.
*
Si nasconde, è lo stesso, è la fiamma
(volto rovesciato sul dolore)
è febbre furiosa
e non passa. Non c’è nome.
Il tuo cuore posato sul mio
si stupisce del suono
del simile tempo
della pausa
poi riprende ed infine trattiene
eco di vento ferito.
*
Nel mio silenzio
le tue parole mute
sono lame di vento
feroce.
Non c’è nulla che resti intatto
sogno o altro,
non hai voluto vedere
nei miei occhi
lo smemorare della morte
l’essere giunti, insieme,
dove l’universo si placa.
Rosa Riggio nata a Siderno (RC), vive a Viterbo. Laureata in Lettere e in Beni culturali, insegna Lettere nella Scuola superiore.
Ha pubblicato due raccolte di versi:
Un elaborato silenzio, ed. Il filo, 2005. Targa di riconoscimento Premio L’Iride (Città di Cava de’ Tirreni) e L’orizzonte alle spalle, ed. FusibiliaLibri 2014, con prefazione di Fortuna Della Porta. Di questa seconda raccolta hanno scritto Plinio Perilli, Giorgio Linguaglossa e Paolo Carlucci.
E’ presente, con un racconto, in Caro bastardo, ti scrivo…, FusibiliaLibri 2013 e nell’antologia Disagio e letteratura, TraccePerLaMeta Edizioni 2014.
Crea opere materiche: mostra personale di pittura Le forme dell’orizzonte 2014, presso la Bottega delle Arti, Viterbo.
E’ redattore della rivista on-line NiedernGasse, per la quale cura la rubrica di critica alla poesia contemporanea.
La conoscevo, bravissima
"Mi piace""Mi piace"
Le tue sono poesie bellissime, le ho lette più volte.
"Mi piace""Mi piace"