IMG-0171 (3)Confesso che non so cos’è la Poesia. E non mi esprimo in tal modo per cercare una originalità “posticcia”. Né so cos’è un Poeta.
Ho letto cos’è per altri, e forse in qualcuna di quelle definizioni ci ritrovo qualcosa che condivido. A volte preferisco dare a ciò che scrivo l’appellativo di “testi” più che di poesia. A volte, perché in altre scappa anche a me di definirla.
Una delle definizioni altrui che preferisco è quella di Titos Patrikios che dice : “I poeti cercano risposte a domande non ancora fatte.”
Possiamo parlare di un atteggiamento poetico come approccio all’esistenza in toto, e non di un vestito da indossare per “l’occasione della poesia”. Certo, poi potremmo parlare di tecnica, di metrica, di chi ha un sapere di gran lunga superiore al mio. E’ quella inutile cosa che non ha mai fatto del male a nessuno, la Poesia? Se aiuto qualcuno che non conosco, possedendo ancor meno di lui, senza alcuna pretesa di riconoscenza, è altruismo o Poesia? O possono stare bene insieme nello stesso posto?
So che ho molte più domande che risposte, e di essere anche in buona compagnia. Se devo descrivere la giornata che ho trascorso in compagnia dei miei gatti e del mio cane, o della carezza di mia moglie, dove il “mio” non sta nel termine del possesso ma dell’esistere accanto a ciò che può avere un senso in questa vita, lì trovo senza artifici una definizione che se vuoi, possiamo chiamare Poesia.

Testo N.1

Rara, dimora qualche quiete
che non delude,
ed è subito un udire di grigiore
che rifà il giorno.
Ricompare anche
l’infruttuosa saggezza
di chi non ha mai ingoiato
un raggio di sole.
Si regge appena sul fondo del cielo,
l’ancora che ci tiene al mondo,
e la mutilata credenza
di farci bastare i resti
di ogni lembo di terra.
L’immobilità di quell’infinito
concede tregua d’inesistenza,
finché non s’appresta l’ora
che non passa per il tempo.
Ed uno spreco d’incompatibilità
ci avrà seminato senza stenti.

*

Testo n.11

Se la genziana fiorisse
come una forma di stanchezza
quando c’è confusione di passaggio,
la berremmo senza attendere
di mentire sulla buona educazione
di una volta,
con l’aroma di ferro e plastica
alla portata di ognuno.
Potremmo addirittura organizzarci
per vivere di sedimenti di progresso
come creta che non si squarcia,
lasciando solo crepe nel marmo
a futura memoria.
Ma gli occhi si sono allagati di bitume
e tu acuisci parole
come ressa di precise ombre
che sono tutte dentro di noi.
Pur sapendo che la sabbia
del nostro deserto
ha il retrogusto del sapevamo
cosa fosse giusto.

*

Testo N.13

Distinguo la corretta punteggiatura
delle fioriture fuori moda,
dai fuochi d’artificio senza festa.
Le prime si esprimono all’antica
con precisione di consumati
orari ferroviari,
i secondi hanno la nostalgia del bianco e nero
dei pomeriggi del secondo turno,
mangiato in fretta e macchiato di caffè.
Ma basta togliere o aggiungere un occhio
dal posto del cotone,
per cucirsi addosso una divisa
buona per ogni stagione.
Mia madre cuciva la terra
che non gli piaceva,
ed ha lasciato i fili sparsi
sulla mia mano
per domare quei fuochi a mare
che ci siamo persi.
Talvolta distinguo ancora
ciò che accadrà,
dal suo volto dissotterrato.


Francesco D’Angiò nato a San Vitaliano, Napoli, nel 1968 ma residente a Matera da diversi anni, Francesco D’Angiò esordisce nel 1997 con la pubblicazione di un racconto edito da ALEA EDITRICE BARI dopo aver vinto un concorso per esordienti. Riprende il filo interrotto della narrazione soltanto nell’ottobre del 2020 con la pubblicazione del romanzo breve “Lo sconosciuto” edito dalla casa editrice Planet Book. A fine giugno del 2021 è stata pubblicata la sua prima raccolta di versi dal titolo “Clessidre orizzontali” a cura della casa editrice EDIZIONI TRIPLA EEE.