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Due mondi similari che si fondono
Nicola Romano su Decostruzioni e ricostruzioni – esercizi allo specchio
di Rosanna Frattaruolo e Rosanna Spezzati (RPlibri, 2022)

Così come è impossibile individuare le singole voci d’un coro; così come è praticamente difficile distinguere ogni specifico squittìo d’uno stormo; così come è problematico comprendere da quale batacchio provenga quel suono cupo o argentino nel dondolio delle diverse campane è, appunto, questa raccolta di versi che da un lato svela apertamente in copertina l’identità delle due co-autrici ma che poi all’interno non assicura per niente un brandello di discrimine formale che faccia capire a chi assegnare i singoli interventi poetici in seno ad un dettato espressivo che nasce da un pretesto tutto da scoprire.
E diciamo pure che – a prescindere da ciò che si potrà dedurre – in prima istanza è da cogliere e sottolineare l’originalità della formula che con questa plaquette viene proposta: in passato abbiamo assistito a ben determinate scritture a quattro mani con sezioni ben distinte per ciascun autore/autrice, oppure con una riconoscibile alternanza di testi modulati a dovere al di dentro d’una particolare tematica; invece qui assistiamo ad un ordinato e assonante susseguirsi di strofe, come ad un naturale accostamento di mondi similari che in buona sostanza vanno a fondersi tra di loro lungo un cammino nato forse per caso, ma che poi assume la connotazione d’un ben “percepito” parallelismo emozionale.
In questa che può apparire come una gradevole coesione di frammenti, prende soprattutto forma un donarsi a vicenda le parti più intime ed essenziali del proprio “essere”; praticamente ci è dato qui constatare la contiguità di due anime che sembrano volersi annullare l’una nell’altra ma che allo stesso tempo sono pronte ad accogliere ciò che proviene da una sorta d’immagine speculare che in definitiva forse sta a ben rappresentare le sembianze di quell’«altra da sé». E questa operazione, questa intesa, tale complicità può avvenire sicuramente, e senza finzione alcuna, attraverso una sottesa appartenenza ad un coincidente modo di pensare l’odierna quotidianità, seppur fatta di giorni in cui la mia voglia muore sulla soglia.
Inoltre, in questo che si presenta subito come un breve ma fitto dialogo a struttura poematica e senza pause, ovvero come una serrata corrispondenza d’intenti e di naturali aspirazioni, a nostro modesto parere non sono soltanto le probabili e reciproche fragilità – ancor che esistano veramente – ad essere qui confrontate e scambiate, ma anche, e soprattutto, vengono messi sul tappeto, attraverso metafore e similitudini non prive di sensualità tutta al femminile, gli immancabili sogni e le personali aspettative volti tendenzialmente a trovare un preciso e comune (benché a tratti sfuggevole) senso da dare ai giorni, se – nonostante un sillabare dolore – l’una dice all’altra in atteggiamento fiducioso intrecceremo i giorni/ ne faremo chiome verdi: versi dolci e pacati ma che, per ciò che è conseguente ad un profondo scandaglio interiore, sembrano giustamente evocare poi un forte desiderio di sopravvivenza da una morte racchiusa/ nell’ultimo grumo di sangue.
Come negli scambi umani dai toni densi e appassionati, le parole di questa raccolta sembrano inseguirsi, toccarsi, sovrapporsi o librarsi all’unisono in cerca di spazi incantati in cui il tempo possa magicamente fermarsi per ascoltare le sospirate fantasie dell’anima.
“Abbiamo bisogno di un interlocutore per mentire e per dire la verità” recita un passaggio dell’introduzione al poemetto: e in effetti nessuna realizzazione umana si può raggiungere da soli, nessuna incertezza si può abbattere senza il fondamento d’un vero e costruttivo dialogo che non sia soltanto chiacchiera o che non sia neanche un inutile incontro/scontro.
E se la «decostruzione» (al di là di quella che fu una complessa riflessione filosofica del secondo Novecento) è idealmente portata avanti come a volere scucire taluni lembi di pregiudizi e di false visioni – oppure a scomporre una volta per tutte i numerosi dubbi e i tanti angoli rimasti oscuri durante l’altalenante corso della memoria (La memoria è una croce/ ai miei polsi e ai miei piedi(…) la memoria lascia sempre traccia/ anche nella dimenticanza) – ecco che la conseguente «ricostruzione» porta amorevolmente a ricomporre, rigorosamente nel tempo presente, due nuove entità caratterialmente sempre ben distinte ma strutturalmente costituite da un’unica “sostanza” e, oltretutto, da una chiara uniformità di stile espressivo; entità che diventano confrontabili attraverso lo specchio in cui si vanno a riflettere pose, sguardi e movenze.
“Sguardi” che, nel volgere della versificazione, s’incontrano con una certa frequenza forse finalizzata a penetrare e ad annullare l’incresciosa distanza che separa, oppure volta a controllare passo dopo passo (verso dopo verso) quella che è la meravigliosa sintonia del ritrovarsi, dell’«esserci» e del ri-conoscersi in piena condivisione, se leggiamo: Mi scopro nuova dove mi guardi (…) l’occhio vigile (…) nella mia pupilla (…) degli occhi chiusi e ciechi (…) dichiara il tuo sguardo (…) l’occhio mio di tenebra (…) ho troppi occhi (…) sul davanzale dei tuoi occhi (…) ridestano i tuoi occhi.
Di sicuro, non c’è mai un tempo stabilito per le combinazioni o per le coincidenze del vissuto: può succedere – come in questo caso – che un insieme di sensazioni trovi urgenza e convergenza dentro un accordo poetico maturato a un certo punto con curiosità, con entusiasmo e con convinzione, e pure con la consapevolezza che in ogni modo, da fedeli compagne di viaggio lungo un percorso quanto meno unico e irripetibile, si può anche riprendere il cammino/ dal giorno della fine.