7 poemetti

Secondo l’enciclopedia Treccani, per poemetto “si intende un poema di limitata estensione, di solito costituito dalla narrazione di una breve vicenda o da una rappresentazione in sé conclusa, caratterizzato, più che dalla solennità, da una ricerca di eleganza e finezza, dal gusto del particolare, dai toni sentimentali”.
Ed effettivamente, eleganza, finezza e sentimento sono i caratteri salienti di quest’opera di Franca Alaimo, la quale si presenta composita, cioè costituita da due parti formalmente eterogenee: la prima concerne i 7 poemetti che danno il titolo al libro, la seconda, intitolata “Frammenti”, è articolata in prose poetiche tutte dotate di titolo, che appaiono come vere e proprie schegge, cocci di pensiero frantumato. ln quest’ultima parte è come se l’autrice tentasse di ricomporre, cioè di comporre di nuovo, la stessa materia trattata nei poemetti, frutto del suo pensiero e della sua esperienza, in una differente foggia poetica.
Essendo queste prose poetiche dei “rottami”, schegge o meglio frammenti, come li chiama l’autrice, è senz’altro semplice rintracciare collegamenti con i poemetti, e dunque scovare concetti e riflessioni che ricorrono nell’opera.
ln particolare tenterò di fare un focus proprio sulle sostanziali continuità tra il poemetto dal titolo “Il vuoto e il pieno” e le prose  poetiche “Destino” e “Lettori”.
I temi principali del poemetto, dedicato agli amici “che più non vollero vivere”, come dice la poetessa in epigrafe, sono quelli della caducità, il destino prescritto a ogni essere vivente, dell’invocazione del divino, che continuamente viene interrogato (non solo nei poemetti), e della memoria che, secondo la riflessione dell’autrice, è preservata solamente dalla scrittura, e in particolare dalla
poesia: per citare la poetessa, in uno dei versi che più mi ha colpito del poemetto “Solo le parole sono testimoni.”.
La Morte che “abita altrove e non muore”, come una notte buia, bracca l’Uomo ma la poeta si difende dalla morte scrivendo. Dopo una prima fase in cui crede di non poter far altro che tacere, così come del resto tacciono le parole dei libri, incapaci di dare una spiegazione all’immensità del mistero della morte, la poetessa scopre che la notte è piena di Dio, che “ogni notte ripete il pensiero di Dio”. Ma le parole sembrano non avere la capacità di arrivare a cogliere tutto questo: esse sono troppo poche per spiegare tutto ciò che “trabocca”, e ne soffrono (e qui la poeta utilizza la figura retorica della personificazione) e tuttavia persistono e si ostinano a scorrere come un fluido, un balsamo che lenisce e cura, anche se non salva e non consola.
Il poemetto prosegue con una serrata e quasi disperata ricerca di risposte, in un’immersione dentro similitudini naturalistiche, in cui flora, fauna e paesaggio spiegano il destino di tutte le creature: “fiorire, sfiorire e rifiorire sempre”. Lo riportavo all’inizio: solo le parole possono portare testimonianza e andare contro la morte. E “La notte si sfarina/in impalpabile chiarore.
Nella prosa poetica intitolata “Destino”, la poetessa si domanda se le sue parole avranno quella forza. Lo riporto integralmente: “Mi sarà data quella rara grazia, che rilucendo fuori dal suo centro, sappia saziare il tempo di me ignaro e vuoto fino alla luce della prossima fiaccola?”
E ulteriormente, nella prosa poetica “Lettori”, l’interrogativo dell’io poetico sposta il soggetto logico da sé stesso al lettore: si chiede infatti, nella prima proposizione, se, e come, il lettore capirà ciò che leggerà.
Riporto anche questo integralmente: “Chi legge come capirà ciò che legge? L’albero all’oriente, l’occhio del passero colmo di stupore e la luna (la mia) sono movimenti di suoni nel sangue. ln questo momento, il dolore estraniato di limoni contro la ringhiera bianca delle pagine vuote e la mano sopra i seni non ancora scritti. Oh, io ti vedo, bacio sui miei capelli! Bacio che non esisti.”
Non conosco ancora il poeta Franco Fortini, ma so che in uno dei versi più celebri di “Traducendo Brecht” ci risponde, ci esorta, in un certo senso ci rasserena: “La poesia non muta nulla. Nulla è sicuro, ma scrivi.”

Davide Gaetano Rizzo (14 anni)