Claudia Ruggeri non è di questo mondo, non lo è mai stata. In lei aleggia/va una sottile energia, rara, indicibile. Lontanissima dalla definizione consona di sensibilità, il suo tocco era oltre la comune visione, sopra le cose, dentro le cose, dolorosamente vicina alla verità, oltre le sette porte.
Leccese geograficamente, universale poeticamente.
Credo che possa considerarsi Poetessa, con tutta la pienezza del termine, con tutte le sue accezioni. Ha consegnato a noi non un testamento, ma una vivissima testimonianza, di come e di cosa occorra per giungere alla fame, alla sete. Non alla sazietà quindi, che intravediamo spesso in alcuni dei poeti della generazione che avanza, già satolli di risposte e privi di domande. Lei era la domanda, l’attesa, la possibilità dell’errore, la bellezza dell’imperfezione, quando toccando vette nuove accende/va neologismi non solo di carattere fonetico ma anche passionale, personale. Ecco appunto la ”mancanza” quale motore sublime della mistica dell’esistenza. E (la) Poesia acuta e violenta, per una volta coincidente con la voce e con l’anima di quel piccolo ma altissimo corpo che faceva parlare la carta, ma non solo, le ossa, la pietra, persino l’aria.
Ma non è questo un tentativo mitizzante, bensì semplice indizio, semplice e motivato invito alla lettura. Chè se è vero che occorrono grandi maestri affinchè ri-nascano nuovi allievi, lei è una strada assolutamente irriproducibile, è al di là delle mode del momento, decontestualizzabile, ma ottima nella sua prospettiva, pulita, inarrivabile, pertanto preziosa per ognuno di noi per questo motivo: provare ad avvicinarsi a lei, per quanto risulti non concepibile, è già cammino.
Irene Ester Leo
A seguire alcune poesie….
il Matto II (morte in allegoria)
Ninive
“Tu ti dai pena per quella pianta di ricino (…) che in una notte è cresciuta e in una notte è perita: ed io non dovrei avere pietà di Ninive quella grande città…” Giona 4,10
ormai la carta si fa tutta parlare,
ora che è senza meta e pare un caso
la sacca così premuta e fra i colori
così per forza dèsta, bianca; bianca
da respirare profondo in tanta fissazione
di contorni ò spensierato ò grande
inaugurato, amo la festa che porti lontano
amo la tua continua consegna mondana amo
l’idem perduto, la tua destinazione
umana; amo le tue cadute
ben che siano finte, passeggere
e fino che tu saprai dentro i castelli, i giardini
fiorire, altro splendore sai, altra memoria,
altro si splende si strega, si ride, si tira
la tenda e libero si mescola alle carte; ma
i giardini si nascondono con precisione
dove cerchi la larva del tuo femminino e l’arresto
l’appartenenza inevitabile
all’Immagine all’inevitabile distensione
delle terre trascorse delle altre ancora
da nominare chiamarle una poli l’altra tutte
le terre perfette alla mente afferrata
di nomi che smodano scadono che portano
alla memoria o la stravagano.
(crescono ricini presso ninive
ecco, vedi, come sviene)
lamento della sposa barocca (octapus)
T’avrei lavato i piedi
oppure mi sarei fatta altissima
come i soffitti scavalcati di cieli
come voce in voce si sconquassa
tornando folle ed organando a schiere
come si leva assalto e candore demente
alla colonna che porta la corolla e la maledizione
di Gabriele, che porta un canto ed un profilo
che cade, se scattano vele in mille luoghi
– sentite ruvide come cadono -; anche solo
un Luglio, un insetto che infesta la sala,
solo un assetto, un raduno di teste
e di cosce (la manovra, si sa, della balera),
e la sorte di sapere che creatura
va a mollare che nuca che capelli
va a impigliare, la sorte di ricevere; amore
ti avrei dato la sorte di sorreggere,
perché alla scadenza delle venti
due danze avrei adorato trenta
tre fuochi, perché esiste una Veste
di Pace se su questi soffitti si segna
il decoro invidiato: poi che mossa un’impronta si smodi
ad otto tentacoli poi che ne escano le torture.
la pena dell’Attore
“se il chiarore è una tregua,
la tua cara minaccia la consuma”
(Eugenio Montale)
è qui che incontro l’ultimo Cattivo, il residuo
rosicchio di semenza, l’antenato Attore; dal precipizio
accanto, il suo spettatore lo trattiene
a un fronte candidissimo; dal vano
che cava e spaventa in tanta mediterranea
Evidenza; da dentro questo volo che caverna rotondo,
maniaco; dal ventre, che scaraventa;
che mostro Balena l’accolga, l’incaglia;
gli dia un esilio vero, un lungo errore
(Una video poesia)
>>>Per saperne di più: AA.VV – “La sposa barocca-sette saggi su Claudia Ruggeri” – LietoColle
>>>Nota Biografica:Claudia Ruggeri
Ne hai fatto un ritratto cara Irene, degno della grandezza di questa splendida voce poetica.
Grazie…
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grazie sal di cuore 🙂
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la tua lettura Irene scende nel cuore della parola e, infine, lo solleva
elina
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