La realtà non è conoscibile – vi interviene sempre qualcosa che non sappiamo nominare: la follia, l’incidente, il sogno -, è a questo punto che mi viene in soccorso lo sguardo poetico. Lo sguardo poetico che poso sul mondo, su me stessa e sugli altri, rappresenta il mio modo di essere e di esistere, nutre le relazioni, elabora strategie di sopravvivenza, provvede al bisogno di consolazione, evoca la memoria e le ombre, interroga i fantasmi, e fa molto altro ancora. In una parola, mi dice la vita. In poesia ho bisogno di una lingua per dire tutto questo, una lingua che non può certo essere lontana dalla vita e dal quotidiano. La lingua non può tirarsi indietro davanti all’inconoscibile, al paradosso e all’irreale, è lo strumento che il poeta possiede per tentare tutte le avventure possibili. Anche quelle immaginarie. La scrittura poetica, per sua vocazione, si concentra attorno alla ricerca della parola. Per fare questo ci si mette in ascolto (dei suoni naturali e della vita che risuona dentro di noi). Non può esserci poesia senza ascolto. Tuttavia, la parola è uno strumento pieno di insidie, inaffidabile.
Mi affascina esplorare l’idea di confine, o meglio il sentimento del confine: cosa succede in quel magico e potentissimo istante di passaggio in cui mi trovo sulla soglia? (il passato e il futuro, la memoria e il desiderio, tutto avviene lì, ogni cosa è presente sulla soglia). A questo istante l’uomo – il poeta – partecipa assieme alle cose. E nelle cose che lo circondano scopre nessi tra sé e il reale, tra il reale e il poetico, tra sé e l’essere poetico. Per me la poesia prima di tutto è uno stare al mondo con uno sguardo particolare sulla vita e sulle cose (uno sguardo che diventa carico di ironia quando il dolore si fa insopportabile) e poi è un lavoro di trasfigurazione di quella vita e di quelle cose affinché siano restituite ai nostri occhi nel modo più umano possibile._______________________
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Ci dispiace lasciare questo posto
cambiare itinerario sulla mappa
ma già si schianta il mare sulla roccia,
si gonfia l’onda al fragore del Meltemi,
posano le reti, i pescherecci.
E fa parte del sogno
tenere sulla punta della coda
la possibilità – remota
di un ritorno
settembre 2012
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Mi commuovono certi gesti di conservazione:
la bicicletta parcheggiata nel balcone
il telo che ricopre i pomodori
il piatto che sorregge la tazzina
l’odore pungente della naftalina
il quadretto di conchiglie fatto a scuola
riposto sotto strati di velina.
Ancora qualche volta troveremo:
un capello intrecciato nel maglione
la gondola veneziana, in un cassetto
la stella cometa di cartone
maggio 2013
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(Poesie tratte dalla raccolta inedita Visioni di fine stagione, in lavorazione)
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Daniela D’Angelo è nata a Trapani. Dal 2001 vive a Roma dove lavora come editor. Ha pubblicato il libro di poesie Catalogo dei giorni felici (Salvatore Sciascia editore, 2012) con cui ha vinto la V edizione del Premio Nazionale di Narrativa e Poesia “Città di Fabriano”. Nel 2013 Catalogo dei giorni felici è stato segnalato dalla giuria critica per concorrere al Premio Brancati.