(In copertina: quadro del 13 Marzo 1975 del Maestro Pippo Madè)
Il Gigante controvento di Gino Pantaleone è una documentatissima biografia di un uomo, Michele Pantaleone, che ha dedicato interamente la propria vita all’analisi storica e antropologica del fenomeno mafioso. Ed è stato il primo a farlo in forma così completa. Si è trattato di un’approfondita analisi condotta a livello scientifico, ma al contempo con un determinante risvolto di militanza attiva, vissuta dolorosamente ma caparbiamente sulla propria pelle. In realtà ci troviamo di fronte al caso singolarissimo di uno studioso che in pari tempo con l’azione vuole incidere profondamente sullo stesso fenomeno che studia.
Il principio ispiratore di Michele Pantaleone è stato quello di non tacere mai, ma di parlare e di denunciare subito i fatti di cui veniva a conoscenza. Un atteggiamento che ha comportato molti rischi: in primo luogo il rischio della vita, ma anche quello di essere coperto dalla calunnia e dal silenzio; e questo secondo evento si è verificato in maniera molto pesante, caratterizzando tutta la sua vita.
I grandi organi di stampa infatti non davano spazio adeguato alle sue denunce. Spesso non ne davano affatto. Lo diede invece, a partire dal 1986, una rivista madonita, l’Obiettivo, diretta da Ignazio Maiorana, con la quale si instaurò una collaborazione più che decennale, nata quasi come una sfida lanciata da Michele Pantaleone, che affermava che i “giornalistucoli” non davano spazio alle sue denunce, al giornalista che affermava che non tutti i giornalisti sono uguali. E lo dimostrò coi fatti, dando ampio spazio allo scrittore.
Lo racconta lo stesso Ignazio Maiorana nella presentazione del libro “Ora la sacciu, ora la dicu”, raccolta degli articoli di Michele Pantaleone pubblicati sull’Obiettivo nel decennio 1986-1996. E racconta pure quali fossero i suoi atteggiamenti.
“Ci consigliava di non tenere in cassetto il marcio che i nostri occhi incontravano per strada. «La notizia ora la sacciu, ora la dicu» era il suo motto. È un dovere denunciare, anche se le sue e le nostre denunce in quegli anni rimanevano circoscritte in un ambito modesto, trascurate dai grandi canali dell’informazione, dalla stampa legata, com’era noto, al sistema partitico e governativo anch’esso contaminato.
Dopo le battaglie contro i mafiosi del feudo siciliano, negli anni ’50, e successivamente anche contro la mafia del potere annidata dentro i partiti politici e nelle istituzioni pubbliche, Pantaleone ha dovuto combattere anche l’ostracismo dei più importanti giornali italiani che si ostinavano a non pubblicare i suoi articoli.”
La notorietà di Michele Pantaleone a livello nazionale e internazionale, infatti, piuttosto che alla pubblicistica, fu dovuta a un film, Il sasso in bocca, che Giuseppe Ferrara girò nel 1969 con la consulenza del mafiologo, e ai molti libri sul fenomeno mafioso pubblicati nel tempo.
Ma veniamo al libro di Gino Pantaleone, Il Gigante Controvento, un titolo bellissimo che piacerebbe anche ai bambini. Un libro che ha tutte le caratteristiche del libro storico, ma non è scritto da uno storico. Nel senso che è un libro ricco di iconografia e di documentazione, nel quale ogni affermazione è rigorosamente corroborata da documenti, fotografie e citazioni; tuttavia l’Autore non è uno storico di professione, è uno scrittore e poeta, e questo si avverte nella forte passione civile e personale che traspare da ogni pagina, fino al punto che, leggendolo, a volte ci si chiede se non si stia leggendo Michele e non Gino Pantaleone.
Ne è risultato, quindi, un libro storico che si legge tutto d’un fiato, con forte partecipazione del lettore. Una prosa al tempo stesso precisa e svelta, che spinge ad andare avanti. Un libro appassionato e quindi appassionante. Questo è il vero miracolo di questo libro, che ci porta – in un arco di tempo che va dallo sbarco in Sicilia delle truppe alleate fino all’inizio degli anni 2000, a partire dal microcosmo di Villalba (il paese della provincia di Caltanissetta dove il mafiologo è nato e ha prevalentemente operato) fino ad espandersi su tutto il territorio nazionale ed anche internazionale – a conoscere una strenua lotta personale condotta per tutta una vita, e al tempo stesso a conoscere le logiche storiche e ambientali del fenomeno mafioso, le sue trasformazioni da “mafia del feudo” a “mafia industria del potere”, ossia dal mondo contadino originario alle grandi criminose operazioni politiche ed economiche nazionali e internazionali, non perdendo mai di vista l’ineluttabilità della lotta, la sua necessità imprescindibile.
Questi due momenti, quello dello studioso del fenomeno mafioso, che giunge molto spesso ad essere profetico sugli sviluppi futuri del fenomeno, e quello della lotta personale alla mafia, fatta di azione e di denunce continue, possono essere distinti, ma sono chiaramente inscindibili.
Per commentare questo aspetto, risultano illuminanti le parole che Carlo Levi scrisse nella prefazione al testo di Michele Pantaleone “Mafia e politica” pubblicato da Einaudi:
“Michele Pantaleone non è dunque uno studioso che affronta il problema della mafia come oggetto di studio, di lavoro, o come uno dei tanti momenti di una azione politica, ma un uomo per cui questa condizione umana è vissuta come l’atmosfera stessa della propria esistenza, e sofferta in ogni istante della propria vita.”
D’altra parte, come abbiamo visto, Michele Pantaleone usava la sua stessa speculazione scientifica come strumento di lotta, e la sua stessa pubblicizzazione come strumento di difesa personale. A Ignazio Maiorana, preoccupato delle conseguenze possibili legate alle pesanti denunce che esponeva nei suoi articoli, rispondeva:
“Ignazio, stai tranquillo. Sulu lu pazzu canta, Sulu lu pazzu campa, diceva, a significare che, malgrado le sue denunce fossero pesanti, nel momento in cui venivano pubblicate, costituivano difesa per l’autore.”
Fin dal primo capitolo, Gino Pantaleone compie un’operazione notevole. Infatti, apre la narrazione illustrando l’albero genealogico di Michele Pantaleone, presentando personaggi tutti di grande ispirazione liberale (quando liberale ancora significava prima di tutto paladino della libertà, e quindi progressista) e raccontando le azioni compiute da loro in difesa dell’ideale di libertà. Tutti sappiamo quanto l’aria che si respira nel periodo della formazione sia fondamentale per la strutturazione della personalità.
Ma il libro è anche un grande affresco sulla solitudine. Una solitudine profonda nella quale questa lotta è stata condotta, fra impegno politico, qualche attentato e soprattutto faticosissimi processi, fino a quella sorta di “morte civile” che su Michele Pantaleone è scesa, prima e dopo la sua scomparsa, avvenuta nel 2002, fatta di calunnia, di ostracismo e di silenzio. Proprio questo pesante silenzio l’Autore si propone di spezzare con la sua opera.
Conoscendo il nostro mondo fatto di compromessi, ci si chiede, forse legittimamente, se non vi sia stata qualche ombra anche nella vita di Michele Pantaleone.
Tano Gullo su Repubblica, nel presentare il libro, adombra, con qualche delicatezza ma in maniera netta, un dubbio:
“Nel testo non troviamo riferimenti agli anni giovanili, quando il giovane Michele era socio in affari con don Calò Vizzini e suo vice quando il boss era sindaco di Villalba, che nulla avrebbero tolto alla limpidezza del personaggio, ma che omessi fanno pensare a un eccesso di zelo da parte dell’autore.”
La delicatezza sta nel fatto che quella mancanza viene definita da Gullo “innocente lacuna”. È opportuno che Gino Pantaleone risponda a questa accusa, soprattutto perché rischia, forse involontariamente, di dare nuovo fiato alle calunnie che Michele Pantaleone ha subìto per tutta la sua vita.
Malgrado la passione dell’Autore che serpeggia in ogni pagina, la lettura del libro può portare allo scoramento, considerando la forza titanica che, per tutta una vita, è stata necessaria a condurre una battaglia di questo genere contro un mostro dalle cento teste capace anche di trasformarsi in ogni momento. Lo stesso Michele Pantaleone insieme a Leonardo Sciascia temettero di “avere sparato agli ippopotami con pallini per le allodole”.
Viene allora da chiedersi: ma esiste ancora, in fondo a tutto questo, una speranza? Anche su questo punto, ci soccorrono le parole di Michele Pantaleone puntualmente riportate nel libro:
“Mi capita perciò di pensare quale risultati si potrebbero ottenere se in ogni quartiere, in ogni rione, in ogni comunità, politica o sociale, sorgesse un “comitato per le denunce”. Allora sì che veramente la parte sana del Paese – che è la stragrande maggioranza – potrebbe dire di aver fatto il proprio dovere, di aver creato le condizioni per costringere gli imbroglioni, i trafficanti, i criminali a vivere nella legalità.”
Ci si accorge che quella che in queste parole viene evocata è una pratica che negli ultimi trenta o quarant’anni è purtroppo miseramente caduta in disuso: la pratica del controllo democratico, che dovrebbe essere esercitato da tutti i cittadini con una connotazione che Tommaso Romano, nella postfazione al libro, attribuisce al massimo grado a Michele Pantaleone: il metodo.
Nel suo grande entusiasmo, l’Autore commenta in modo un po’ utopistico quell’affermazione di Michele Pantaleone:
“Quali risultati si potrebbero ottenere se in ogni quartiere, rione, comunità, politica o sociale, ci fosse una persona di coraggio come Michele Pantaleone?”
Non è necessario arrivare a tanto: per esercitare il controllo democratico è sufficiente che ciascuno di noi dedichi sistematicamente ai problemi della convivenza sociale un’ora del proprio tempo, e con metodo vengano analizzati tutti gli atti per le azioni conseguenti.
Ma a questo impegno deve essere aggiunta una rinascita culturale, che ponga la logica del diritto al posto della logica del favore e dell’acquiescenza silenziosa. Per fare tutto ciò non è necessario essere eroi. È necessario essere tanti, sconfiggere la solitudine.
Anche quella del controllo democratico è una pratica che risale all’antica Grecia, culla della democrazia moderna. Una pratica a poco a poco abbandonata a causa del liberismo imperante, ma che ultimamente sembra proporre segnali di ripresa, riscontrabili ad esempio nell’attivismo di molte associazioni. Leggendo le pagine del Gigante controvento, credo che ciascuno di noi debba fare una riflessione in proposito.
Biagio Balistreri
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Gino Pantaleone : È poeta e scrittore palermitano. Ha pubblicato tre raccolte di poesie: “Urla di dentro” edito da Libroitaliano – 1996, “Io così, se volete” con il patrocinio dall’Accademia Costantiniana di Lettere ed Arti di Palermo – 1997 e “Il vento occidentale” edito da Libroitaliano World – 2007. Ẻ stato premiato in diversi concorsi letterari tra i quali, tra i più importanti, a Massa Marittima (Gr) il concorso nazionale di poesia organizzato dall’associazione accademica del Premio Internazionale “Prometeus” e a Pinerolo (To) al concorso nazionale “Pablo Neruda”. Nel 1997, l’Accademia Costantiniana di lettere e arti gli conferisce la nomina di Socio Accademico “in riconoscimento dei servigi resi alla cultura”. Ha relazionato in diverse conferenze e convegni letterari e diversi dei suoi interventi sono stati pubblicati in atti. Molte delle sue poesie sono state inserite in varie antologie e sono diventati testi di musica contemporanea. Di recente, l’Empire International Club fondato a Pescara nel 1976, gli ha conferito il premio per la saggistica biografica per il libro “Non dobbiamo aver paura” edito dal Gruppo Editoriale L’Espresso – 2012, per “aver squarciato il silenzio sull’opera di Michele Pantaleone”. Con Spazio Cultura Edizioni, pubblica “Il gigante controvento. Michele Pantaleone una vita per spiegare la mafia”, prefazione di Lino Buscemi, postfazione di Tommaso Romano, con un contributo di Carlo Marchese
Michele Pantaleone : (Villalba, 1911 – Palermo, 12 febbraio 2002) è stato uno scrittore, giornalista e politico italiano, studioso del fenomeno mafioso. Persona fortemente scomoda ai più, è stato il primo a denunciare le connivenze tra mafia e politica. Era esperto sulle dinamiche mafiose nella Sicilia a cavallo della seconda guerra mondiale. Tra le sue opere più note i libri, “Mafia e Politica” (Einaudi, 1962) e “Antimafia: occasione mancata” (Einaudi, 1969), testi di grande importanza per avere offerto una chiara definizione di cosa è la mafia. Pantaleone visse nel suo paese Villalba, piccolo comune nel cuore poverissimo della Sicilia, i cui abitanti malpagati vivevano di stenti, lavorando le terre dei latifondisti locali protetti dalla Mafia, che in quel paese aveva il volto di Calogero Vizzini, detto Don Calò, considerato fino alla sua morte il capo effettivo della mafia siciliana. Nel piccolo centro nisseno Pantaleone fu segretario della sezione del PSI, attaccando pubblicamente Vizzini e gli altri mafiosi. Con la pubblicazione del suo primo libro “Mafia e politica”, la cui prefazione fu scritta da Carlo Levi, inizia la coraggiosa battaglia civile di Pantaleone contro la mafia; la sua opera rappresenta la prima ed esauriente analisi del fenomeno e delle sue cause storiche e sociologiche. Successivamente ha estese le sue ricerche pubblicando altri due volumi: “Mafia e droga” nel 1966 e “Antimafia:occasione mancata” nel 1969, anch’essi a cura della casa editrice Einaudi. Scrisse un altro libro dal titolo “Il Sasso in bocca” dal quale fu tratto, con la regia di Giuseppe Ferrara, un film-documentario sulla Mafia, con lo stesso titolo, uscito nel 1970 tradotto in 28 lingue in tutto il mondo. Pantaleone partecipò attivamente al movimento contadino e dal 1947 al 1951 fu deputato al Parlamento regionale siciliano.
Scrisse 14 libri, 11 opuscoli, più di 5000 articoli (La Stampa, L’Ora, L’Avanti, Corriere della Sera, La Voce Comunista, La Voce Socialista, L’Astrolabio, L’Europeo, L’Espresso, I Siciliani, L’Obiettivo…), ha tenuto 965 conferenze (la maggior parte nelle scuole), 9 prefazioni ad altri libri, e diverse recensioni ad artisti di vario genere e natura.)
Subì 32 querele per diffamazione a mezzo stampa, 3 denunzie per occupazione di terre, 1 denunzia per occupazione di miniera, imputato e processato per calunnia, indiziato di truffa allo Stato.
Imputato davanti ai tribunali di: Torino (67 udienze), Milano (46 udienze), Roma (3 processi, 78 udienze), Palermo (5 processi, 83 udienze), Caltanissetta (4 processi, 31 udienze) mai condannato provando per 13 volte la verità. Ebbe soltanto una condanna al pagamento di spese vigliaccamente appena subito dopo la sua morte. Morì nella solitudine più totale abbandonato da tutti, politica, giornali, editori, amici. Gino Pantaleone, non parente ma solo un amico di famiglia, con lui visse a stretto contatto gli ultimi 7 anni della sua vita, anni di rabbia, di delusioni e di amarezze, accompagnandolo come fosse suo padre, sino alla sua morte.
Biagio Balistreri : è nato a Roma ma vive da oltre venticinque anni a Palermo.
Ha pubblicato: Respiro l’aria del Sud (I Testi, Lacaita Ed. Manduria, 1980) segnalato al Premio Viareggio – Opera Prima e al Premio Vallombrosa e vincitore del Premio Campofranco 1981; Generazioni (I Testi, Lacaita Ed. Manduria, 1985) e Tracce (Arnaldo Lombardi Ed. Siracusa, 1988).
Un suo racconto “il ficus di piazza Marina” è stato pubblicato in Raccontiamo Palermo – Nuova Ipsa Ed. Palermo, 1997.
Il fabbricante di parole (Spazio Cultura Edizioni, Palermo, 2013) è il suo ultimo lavoro poetico.
Giornalista pubblicista, sue poesie, racconti, interventi critici e interviste sono apparsi su numerose riviste.
Con un suo omaggio a Renato Guttuso è presente nel Catalogo della mostra del pittore, organizzata dalla Provincia di Siracusa nel 2001.