Immagine di copertina di Giovanni Gaggia:”The Wall”, 2014, ago e ricamo su lino, cm 20x20.
Immagine di copertina di Giovanni Gaggia:”The Wall”, 2014, ago e ricamo su lino, cm 20×20.

Paul e Juliette
(Racconto vincitore del Premio Fogazzaro 2009, sez. Racconto Breve Inedito)

Cafè Mazzini. Place de Vosges. Quartier Marais. Ventidue e trenta.
Come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, fuori dal cafè, Parigi piove a intermittenza sotto i neon. Nell’anno del Signore 1999.

Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?

Sono seminascosta dietro una colonna, vicino al bancone del bar. Così, non ti è possibile vedermi. Né sai che sono qui. Il mio sguardo che ti segue da lontano ti arriva in diagonale, sorvolando oggetti, persone, rumori dentro al cafè. Centrandoti. Non c’è nessuno oltre me e te. Siamo dentro al nostro microcosmo, avvolti in una bolla chiusa d’aria in mezzo a tante altre bolle d’aria fluttuanti nello spazio che ci circonda. Mi piace pensarti così. Dentro la tua bolla d’aria. Guardarti da qui. Senza essere vista da te. Se tu resti fermo dove sei in questo momento, io posso restare ad osservarti per tutto il tempo che mi va. Senza mai mancarti.
Così, mentre ti guardo, mi appari. Sorridi dolcemente. Le tue labbra si schiudono scoprendo denti lucidi e bianchissimi. Un pavimento di lastricato paradisiaco marmo bianco. Potrei fidarmi di te, se non ti conoscessi. Un cerchio di luce circonda la tua bocca e si diffonde. Sei tutto dentro la tua stessa luce. Mentre, fuori dal cafè, come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, Parigi piove a intermittenza sotto i neon. Nell’anno del Signore 1999.
Allunghi la tua mano, che incontra la stretta di un’altra mano. E’ la mano di una donna. Le hai dato appuntamento in questo cafè per conoscerla. Le tue mani forti. Certe notti, sogno ancora le tue mani. Ricorrenti, le tue mani ricoprono interamente la mia visione. Vedo solo le tue mani aprirsi chiudersi e stringere il mio cuore che si dibatte nella morsa. Sofferente, ma felice. Dentro al sogno.
Guardo il tuo corpo ben piantato, ma leggero, muoversi lento. Hai l’eleganza di un felino. Sei come trattenuto all’interno di una campo di gravitazione che fa del tuo corpo il suo perno.

Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?

Chiamerò Mirelle, per comodità di narrazione poiché non ne conosco il nome, la donna che è con te dentro al cafè. Inviti Mirelle con lo sguardo a sedersi ad un tavolo. In un angolo del cafè, diametralmente opposto rispetto a me. Ma il mio sguardo che ti segue da lontano ti arriva in diagonale, sorvolando oggetti, persone, rumori dentro al cafè. Centrandoti. Accompagni Mirelle con la mano lievemente appoggiata sulla sua spalla destra. Poi, una volta seduti, ordini due gin tonic. Con un solo cenno della mano. Quanto basta, però, perché Mirelle si accorga di quanto sono belle le tue mani.
Mirelle è una donna bionda, con lunghi capelli ondulati, un soprabito nero, ed un collo di lapin a circondarle il viso. Io sono Juliette. Sono bionda, con lunghi capelli ondulati, un soprabito nero, ed un collo di lapin a circondarmi il viso. Mirelle ti siede accanto al tavolo del cafè. Io sono seminascosta dietro una colonna vicino al bancone del bar. Così non ti è possibile vedermi. Né sai che sono qui. La prima volta che ti incontrai per conoscerti, fu in questo cafè. A Place de Vosges. Quartier Marais. Mentre, come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, fuori dal cafè, Parigi pioveva a intermittenza sotto i neon.

Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?

Stai pure tranquilla, Juliette. Non credo tu possa conoscere qualcuno, in questo cafè. Chi è che non avrei dovuto conoscere? Chi non avrebbe dovuto vedermi con te, in questo cafè? La tua voce. Mi ritorna come un’eco. Profonda e un po’ impostata, con un andamento forzatamente piano, quasi recitativo. Ricordo di avere pensato, per un momento, che stessi recitando il copione di una scena già vissuta. Se avessi spiegato davanti a me tra le tue mani un foglio di quaderno e ti fossi messo a seguirne le parole ad una ad una, non mi sarei meravigliata più di tanto. Non ci sono mai stata, in questo cafè. Ricordo di averti risposto, un po’ imbarazzata.
Guardo Mirelle accanto a te. Cerco il suo viso con lo sguardo. Intimamente le chiedo di confermare quella mia sensazione. Mirelle ha afferrato il bicchiere di gin tonic davanti a sé con tutte e due le mani. Quasi si aggrappa, a quel bicchiere. Lo gira e lo rigira, passandoselo tra le mani. Come se volesse scaldarne il contenuto. Ha le labbra stirate in una specie di imbarazzato sorriso e la sua bocca assomiglia ad una fessura sottile ed allungata praticata sul suo viso. Secondo me, neanche Mirelle è mai stata in questo cafè. Se quello che le hai appena detto, con molta probabilità, è quello che dicesti a me la prima sera, seduti al tavolo di questo cafè. Stai pure tranquilla, Mirelle. Non credo tu possa conoscere qualcuno, in questo cafè. Stai pure tranquilla.

Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?

Guardo Mirelle accanto a te. Cerco il suo viso con lo sguardo. Intimamente le chiedo di confermare quella mia sensazione. Guardo la bocca di Mirelle e vedo le sue labbra stirate schiudersi in un aperto sorriso. E’ come il manifestarsi atteso di un temporale, preannunciato da lampi e piccoli fulmini del cielo. Mi sembra persino di sentire il suono della sua voce mentre ride, confusa tra gli oggetti, le persone, i rumori dentro al cafè.
La conosci la barzelletta dell’orsetto polare, Juliette? No, non la conosco. E’ carina?
Mi spiace, non vi racconterò la barzelletta dell’orsetto polare. Ho deciso di risparmiarvi questa pena. E’ una storiella assurda. Però vi confesserò che come ogni cosa assurda pronunciata con la consapevolezza della sua assurdità, produce in chi la ascolta un effetto alquanto rassicurante. Specie quando sei al primo incontro. E’ un pazzo questo qua, ti dici. Ma questa cosa ti solleva dal peso di dire cose inadatte all’occasione, mentre ti preoccupi di meno di fare brutta figura.
Guardo le labbra stirate di Mirelle schiudersi in un aperto sorriso. Ha denti lucidi e bianchissimi. Un pavimento di lastricato paradisiaco marmo bianco.
Hai raccontato a Mirelle la barzelletta dell’orsetto polare.

Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?

Fa caldo qui dentro, Juliette, non trovi? Perché non ti togli il soprabito? Mi gira un po’ la testa, forse c’era molto gin dentro al bicchiere, dico, accarezzandomi sensualmente l’avambraccio sinistro con la mano destra.
Guardo Mirelle accanto a te. Cerco il suo viso con lo sguardo. Intimamente le chiedo di confermare quella mia sensazione. Mirelle, in tutta risposta, si toglie il soprabito e lo appoggia dietro di sé sullo schienale della sedia. Nel compiere questo movimento, vedo scoprirsi la sua scollatura. Mirelle china la testa a guardare la sua stessa scollatura. No, non è particolarmente vanitosa, Mirelle. Solo che tu le guardi insistentemente la scollatura, che lei si era dimenticata per un attimo di avere, nascosta sotto il soprabito nero.
Quando mi alzo dalla sedia prima che ce ne andiamo dal cafè, tu ti avvicini a me. Con quel tuo fare lento. Sei ad un passo dalla mia scollatura. E continui a fissarla. Poi mi aiuti ad indossare il mio soprabito nero che giace appoggiato allo schienale della sedia dietro di me. Sempre continuando a fissare la mia scollatura.
Quando Mirelle si alza dalla sedia prima che ve ne andiate dal cafè, tu ti avvicini a lei. Con quel tuo fare lento. Sei ad un passo dalla sua scollatura. E continui a fissarla. Poi l’aiuti ad indossare il suo soprabito nero, che giace appoggiato allo schienale della sedia dietro di lei.
Quindi, vi vedo uscire dal cafè.

Il resto della serata, perdonatemi, gradirei non raccontarlo.

Cafè Mazzini. Place de Vosges. Quartier Marais. Ventidue e trenta. Come un’ombra scivolosa ed animata nella notte, fuori dal cafè, Parigi piove a intermittenza sotto i neon. Nell’anno del Signore 1999.

Perché non mi stupisco di vederti, dopo tutto questo tempo?


LDMLella De Marchi (Pesaro, 1970), poetessa, scrittrice, performer, artista. Ha ottenuto importanti premi nazionali ed internazionali, sia con l’edito che l’inedito. Suoi testi compaiono in antologie di poesia contemporanea, riviste e blog specializzati su internet. Partecipa e collabora, utilizzando propri testi o di altri autori, con musicisti, artisti, poeti e scrittori alla creazione di eventi, festival, reading, poetry slam. E’ membro di giuria di diversi premi letterari nazionali. Ha un sito personale aggiornato sulla sua attività: http://www.lellademarchi.it.
Poesia
La spugna – Raffaelli Ed, 2010 (prefazione Renato Martinoni)
Stati d’amnesia – LietoColle, 2013 (con un saggio di Enzo Campi, nota di Maria Lenti).
Narrativa, Racconti
Racconti Nove – Albatros, 2007
Tutte le cose sono uno – Prospettiva Editrice (prefazione di Giancarlo Trapanese), Vincitore Premio Braingnu 2013.