Foto di Domenico Solimeno

Poeti, artisti tutti, cantori e matti, pittori e voi che scolpite pietre come farina, grandi canaglie! L’arte che amo sta nei forni dei panettieri che all’aurora profumano la notte scivolosa e così mi insegnarono il calore. Nella bottega del ciabattino che mi spiegò la resistenza facendo ballare un tip tap a tutte le sue scarpe da milioni di passi. Nelle stanze ingombre di casalinghe attente che mi hanno confezionato il vestito dell’attesa. Negli occhi dei loro uomini stremati che la sera pronunciano liste di ‘ti voglio’ con gli occhi in cui nuota vero l’amore. Dal farmacista dove ho pagato il prezzo della scintilla che traballa, acrobata di strada. Il cuoco, è stato il cuoco a svelarmi i trucchi dei sogni in cui affondavo. In preghiera non ho chiesto niente, sto soltanto respirando speranza e ho riempito tutte le borracce e i secchi di questi miei desideri asini che, ostinati, proprio non vogliono saperne di star fermi e si portano sulle schiene il peso di tutte le anime avvinghiatemisi al collo mentre camminando fischietto felicità da schizzare in giro come benedizione o come bolle di sapone. (al mago- 4/9/12)

 

 



C(h)ampagne francesi e Jaguar-i malinconici – 21/1/16

Ci sono luoghi dentro qualcuno di noi
mediocri come ipocrisie e vizi
cui si arriva arrampicandosi
sotto plaid marroni, d’inverno,
che appena sposti solo di poco un lembo
senti un’altra sciarpa già a farti gola.
Ci sono luoghi fuori da noi
dove ho provato ad accompagnarmi a lui,
credendo
di offrirgli poco più che una mia mano
per campagne francesi e buio metropolitano
affinché gli suggerisse l’essere umano.
Ma il vino non c’era e il pane pareva non bastasse.
Ostie e vertigini sono commemorazione invadente
per crogiolarsi nelle lacrime del niente.
Io non volevo altro, ma – dio santo! –
quel profumo puro l’ha scambiato per puro fumo
che ha annusato come tanti a un certo punto.
Così, il giaguaro non ci ha protetto affatto,
così melanconico nel suo letto, a soppalco, tra i rami in alto,
svuotato troppo spesso e presto rieletto
a stropicciate lodi d’amore mute, volte soltanto
dopo
ad ammiccare, come prede, al nuovo nulla
con cui ha scelto, nel Moccioso divorato lutto,
di infangare ancora
tutto.

*
Assenza ingiustificata – 3/7/14

Non c’eri
per i marciapiedi notturni
sputati da vecchi cani.
Non c’eri
quando erano evasione e semafori
a sorridermi e ammiccare
agli sproloqui. Eri
tra le tue mura a giocare
a moscacieca, con tua moglie;
eri a contare i calendari e le voglie
buttati in pasto all’immondizia.
Non c’eri, ma io
ho già abitato queste notti di mestizia.
Ci ho preso a calci i sassi
quando i miei problemi idioti
si travestivano da massi
e le mie prove costume nell’aria estiva
erano già allora da clown triste
che vuole sapersi ancora viva.
Come non riesco a fare a meno che sia.
E adesso digerisco la malinconia
e la tua è assenza ingiustificata
e la stazione l’ho superata
ho raggiunto il mio Charlie
e insieme abbiamo vomitato parole
più stupide delle nostre, appese alle finestre,
su tovagliette di carta che le assorbissero meste
e lui ha rimesso su un disco jazz come suole
e ci abbiamo passeggiato sopra
con tutto il peso delle nostre teste
Io mi riassestavo
l’anima stropicciata
giocandoci a origami
e resta assenza ingiustificata
quella delle tue mani.
La birra scende ancora come pioggia
Corre tutt’ora come scheggia
nella mia gola bloccata
sulla goccia. 

*
Trilogico Amore – 24/2/08

La luce del sole oggi è uno sbadiglio. Si alza la polvere mentre penso che potrei passeggiare per la stessa tua strada. Ed è notte in un battito.
Come un applauso iniziato male e un male da consolare senza smancerie. Cinismo da digerire nella sala del cinema vuota: solo tu e dio. Tu ed io.

Riesco a dipingere solo più paludi sui miei cartoncini; i carboncini si squagliano negli sbadigli e le ombre mi assalgono prima che possa disegnarle. E si dissolvono.
Incarto nei fogli scritti di notizie, le bottiglie di vetro, ma non possono riflettere il quotidiano perché, attorno, le pareti sono intrise dei miei colori.

E ti guardo andare avanti, farmi strada che mi sembra un quadretto polacco. E ti immagino rimasto indietro, mentre mi sento a casa nella pace del grano.
Mi dici che è ghiaia e non chicchi di spighe.
Ti dico ch’è di sole e non di grigio che avvolgo le sfighe, le righe.

Ti pretenderò soggetto del mio avvenire nel circo dei lodati e resterò tra gli espulsi del Creato a determinare il mio destino con lo sputo e con i denti nella terra, nella polvere che s’alza, nella smorfia del clown, nel tuo sorriso non corrisposto, nel tuo ricordo scolpito male, nel mio tempo scandito ancora. Nel nostro piatto condito ogn’ora. E tu riguardati. E poi dimmi che ci vedi. E poi ripetimi che ci tieni.


Helen Ester Nevola febbraio 1984, sant’Anna di Torino, ore 4 di mattina: la sala travaglio più “intima” a disposizione, il corridoio del 2° piano e in sala parto luci al neon e radio a tutto volume che trasmette musica leggera. Così è nata Helen Esther. Non so se fu il suo primo impatto col mondo a infonderle quella “fretta di vivere” che ha sempre avuto. Imparò a correre prima di camminare e a 9 mesi si frantumò la clavicola cadendo dalla libreria su cui si era arrampicata” (mamma).
Seguono domeniche ad ascoltar mio padre raccontare di canzone d’autore e suonare la chitarra; giorni a rubare lettere di mamma dalla carta di scarto della sua copisteria.
Scrivo “Volo”, la mia prima poesia, a 8 anni: rimango tutta la sera in camera coi miei che cercano di farsi dire da dove l’ho copiata finché capiscono che è roba mia. A scuola invento laboratori di creatività e giornalini di concorrenza a quello della presidenza. A 18 anni, via di casa; a 23, mamma di Nadine Esther. Oggi aiuto a crescere sia lei, sia la mia passione per la scrittura che solo di recente sta pensando di ambire a pubblicazione. Ogni tanto lancio vernice su bottiglie di birra e, se capita, partecipo a reading o slam poetry.
Dal 2014, conduAutrice del Progetto CaleidoScoppio (facebook.com/caleidoscoppio) che si occupa di organizzazione eventi, cultura e spettacolo e dà spazio a talentuosi artisti dell’underground torinese (e non solo). Il format CaleidoScoppio è una serata mix-shaker di arti performative tra la tradizione dell’open mic e la jam session. Gli artisti si mescolano nelle proprie esibizioni, anche improvvisando collaborazioni, come tessere di un caleidoscoPPio che di volta in volta dà colori e forme diverse alla serata. Dal Magazzino sul Po (ex Gianca2) a Murazzi Estate alla Turin Plage, i CaleidoStuzzico (aperitivi artistici) e i “CaleidoScoppio In Trip” (le trasferte) a Milano, Cuneo, Savona, Torre Pellice, Leinì, Settimo…

Se poi volete sapere tutte quelle banalità lì, ok:
– Ho una maturità scientifica conseguita da privatista al Liceo Scientifico Tecnologico Amedeo Avogadro (mai percorso di studi fu meno azzeccato!)
– Ho fatto lavoretti saltuari e precari di vario genere
– Non ho pubblicato ancora nulla (e questo l’ho già detto!), ma sto lavorando a “Tessere” (raccolta di testi)