
LietoColle, 2016
nota Sebastiano Adernò
Franca Alaimo trasloca per sbancare l’anima, per portarla altrove, in un’altra casa, lontanissima dalla prima. Lontana e distante, a distanza diremmo. Via da tutto. In primis il ricordo di lui con cui tanto ha condiviso. Il distacco e l’abbattimento di quel muro che teneva entrambi infelici. Per poi correre subito al riparo, ai ripari di una nuova ma mai vuota casa. Una casa piena di cose, come le borse delle signore, una casa carina, modesta e decorosa come tutti i piccoli gesti con cui la quotidianità compone quel tempo che chiamiamo giornata. La sua casa di adesso che vive sola in compagnia di tutto ciò che la vita ha saputo donarle. Un casa guadagnata. Una casa sofferta ogni volta che durante quegli anni insieme s’era paventata all’orizzonte l’idea e la necessità di avere un’altra casa per sé. Ma si trasloca. Si trasloca per cambiare. Meglio o peggio sono cose che non si possono dire. Intanto si va, ci si ferma, si prendono posto e possesso, poi si vede. A volte é la vita a chiamare noi. Ed alcune cose non si possono forzare, quindi ben venga pure un trasloco. Trasloco in un età piú adulta, dove l’amore esiste, resiste, ma é un altra cosa. Libero da egoismi, e faccende di frustrazione, libero da se stesso, anche dalle esigenze che si era imposto, l’amore vive tra lo Spirito ed il Corpo. Magari ha cambiato colore. Magari preferisce un nuovo pallore. Che da adulti non vuol dire perdita di vigore, ma assunzione di forza e saggezza. L’amore che vive nell’altrove di un altrove perché non necessita più di una fonte o di un destinatario, ma solo di essere celebrato in noi stessi.
Separati in casa
Mi separa da lui un muro così sottile
che il suo respiro giunge nel mio orecchio
come il ronzio ostinato di un insetto.
Lui dorme con la testa rivolta ad Occidente
e nascono dall’osso della sua fronte
le ombre del tramonto che come teli viola
coprono a lutto anche le fondamenta.
Io scruto con occhi insonni il Settentrione
e la sua stella colma di tempesta.
Talvolta, al principio del mattino,
s’incrociano i nostri passi sulla soglia,
ma più si fanno i nostri corpi vicini
più le lingue s’inceppano sopra i sassolini
gettati di traverso dall’Orgoglio.
Trasloco
Il gesto era sempre identico:
piegare la tovaglia alzando gli orli
e lasciare cadere le briciole
sulle piastrelle del terrazzo.
Arrivavano i passeri a becchettarle,
timidi, tra rapidissimi frulli,
ed i colombi ritti sulle zampine
color delle rose di maggio,
gli occhi d’oro sempre attoniti.
Per i residui più minuti
faticavano due file di formiche.
A primavera i calabroni sembravano
proiettili impazziti, finché, pietosa,
aprivo per loro le finestre
e si tuffavano nello specchio dell’aria
con voluttà rapinosa.
Le lucertole con i loro alfabeti neri
sulla pelle smeraldo
correvano paurose a nascondersi
dietro i vasi di gerani rosa.
Stava la mia gatta a spiarle
con le sue lunelle d’oro,
immobile come una dea di pietra,
per ore.
L’estate scorsa non capivo
da dove provenisse un ronzio
come di una vecchia radio accesa.
E solo oggi, durante il trasloco,
mi accorgo delle case d’argilla
lasciate dalle vespe tra le pagine dei libri.
Penso – e mi commuovo –
che li hanno scambiati
per serre traboccanti di parole odorose.
La mia casa era un minuscolo zoo
dove vivevano tante creature:
c’erano le zanzare, le libellule
e le mosche noiose,
e piccole farfalle così chiare
che appena si distinguevano dal muro.
E io e lui eravamo gli animali più infelici.
Da sola
Indugiando tra le cose
un’ombra visita la stanza
e taglia l’aria alle mie spalle.
Mi stacca il corpo dalla parete
dove si appoggiava con la vita,
ed io impallidisco all’improvviso,
guardo per un istante la finestra
e la gioia vermiglia del geranio.
Mi chiedo dove comincia il luogo,
lo zero della morte; mi sembra
di gridare senza suono di voce,
ma uno stridio di gomme sul selciato
mette in moto l’ardore del giorno,
mi ridona al tormento del corpo
ed alle trafitture addominali.
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