Terracqua di Mirella Crapanzano, Terra d'ulivi edizioni, 2016
Terracqua di Mirella Crapanzano, Terra d’ulivi edizioni, 2016

nota Daìta Martinez

ora il mare chiama con la vastità larga
di un grembo, le onde altissime
qualcosa che preme a venire fuori
una terra lavica nera come una madonna
dipinta ai crocevia e c’è un’aria greve
un carro d’aria protesa
un luogo raccolto dove il tempo apre
in un abisso la sua pupilla
alla fragile creta, al fuoco
una creatura concepita in molte notti
senza il conforto della luna
ma se solo tu potessi darle il nome
allora qui raggiungimi, nello sposalizio
che la tempesta benedice
anche senza cielo il velo è d’alga
le labbra di madrepora sfiorano le navi
con un bacio
i fiori per la sposa giacciono in fondo
distese brulicanti di anemoni
fanno una corolla nuziale

è il testo che apre la silloge Terracqua di Mirella Crapanzano, edita in questo anno con Terra d’ulivi, testo che induce a sé la cifra stilistica di una donna che è d’isola e che dell’isola ne dipinge, o meglio ne acquarella le sembianze con quella particolare finezza estetica che è propria di chi con sguardo lirico e ancestrale svolgimento si fiata nel richiamo essenziale di un luogo intimo e naturale come solo sa esserlo il ventre primigenio che lo ha svelato. Fin da subito Mirella indossa l’abito melanconico e amorevole di una sposa metaforica che si accade di terra e di mare sino a farsi congiungimento suggestivo tra i versi di un dire autobiografico dove non c’è pagina che non abbia odori e sapori della sua origine isolana, di Agrigento nel respiro di Porto Empedocle, abituata sin da bambina a interagire con gli elementi di un paesaggio che è naturale riflessione nutritiva e che ne indirizza l’incarnato del pensiero verso una tenerezza quasi materna nella vita come nella scrittura. L’autrice ha trasformato in pagine incantevoli di poesia l’amore di un percorso esistenziale intriso, fin dall’infanzia, di sicilianitudine popolare e verità morale, riuscendo così a scavare in se stessa sino al fondo della trama più fitta che l’ha in-tessuta donna attraversando e riavvolgendo il suo sguardo in quella stoffa di accadimento e memoria pregiata quanto odorosa al di là della visione di una qualunque stereotipia mondana.

cigola la luce quando è mezza la notte
fonda la distanza dall’inchiostro al mare
non appartengo che a queste rive
al dorso della pagina che scrive la lingua
dei cetacei, il suono alto accorcia il nodo
il vento tace sull’isola, come un presagio
l’alta marea tra i seni, il nero stellato intorno
a fior d’acqua lucciole ignare costeggiano
le coste

Ecco che il poeta si rivela alla parola per dare corpo a un dialogico incontro col sé e in sé, incontro che poco per volta, quasi fosse certosino il tempo del racconto, la siede davanti a uno scenario di memoria e che in Terracqua si fa sorprendente bocciolo di versi:

c’è già tutto al mattino
cose con dentro un senso
le conchiglie vuote da suonare
le candele accese sulla tavola
perché così fa festa
la porta sempre aperta al forestiero
i piedi scalzi pensieri liberati in fretta
contando il tempo che resta al giorno
per farsi cogliere inatteso
il vento porta stralci di rose
sparse come semi
le mie stagioni piene e le dolcezze
sì, anche quelle, arriveranno

Questa raccolta, per suo pudore e per dolcezza di fondo, porta in sé fin dal titolo non soltanto il bisogno filiale di rientrare nel grembo della sua radice siciliana ma anche tutto il presagio di un paesaggio carnale e viscerale delle emozioni primarie con cui costantemente e senza illusioni si è costretti gioco-forza a fare i conti con il guscio del chi siamo stati. Così, nel continuare in questo viaggio immaginario dentro Terracqua, mi riporto a quel … “lento prolungarsi / dell’onda / sul viso come a una distanza”, scrive l’autrice nell’idealità di un conversare da lei a lei nella scrittura a noi consegnata quasi fosse una lettera aperta nella maniera di un invito, quasi a volerci fare accomodare sul divano ospitale, ma non per questo convenzionale, della sua stanza interiore. Una stanza nella quale si riporta nella … “increspatura domenicale della fronte / che allarga fin dall’infanzia” … con addosso solo quel suo significante e determinante bagaglio di … “mandorle amare” sulla soglia del suo narrarsi, ora bambina, ora donna, ora e pur sempre figlia :

“stanotte il mare
è una placenta vuota
la bambina nata dal padre
cresce in fretta, l’isola racconta” …

La Crapanzano racconta, si racconta e racconta anche di un dopo ininterrotto che si resiste nell’istante perfetto e fertile di un tempo senza il tempo della dimenticanza, parafrasi amabile di una figurazione cesellata con l’inchiostro in un allestimento genuino del ricordo, per far sì che non si resti indifferenti alla padronanza del suo raffinato monologo interiore che, come nello scorrere di un passato mai cristallizzato, traspone, con la carica poetica ed energia stilistica, sul foglio bianco svolto quasi fosse un lenzuolo adagiato nella cassapanca di una attesa e di un ristoro nel pur sempre amorevole in divenire.

dopo
quando tutto volutamente
prende i contorni di un perfetto istante
in quell’assorta unione tra le cose
senza un principio o una fine
come quello che dici amore
senza interruzione
o
tra le pause irragionevoli
che ha il cielo dentro la pancia
una dissonanza fertile, non trovi?
in fondo il tema del restare sospesa
persino nel mancarmi
o
nel partorire inspiegabilmente l’assenza
su una pagina accostata al collo
per sentire da qualche parte
un ricordo di certo mai sentito prima
– un giorno
ho respirato a lungo sott’acqua
come un pesce, una stella marina, un’alga
ed ero felice –

Qui, il poeta, entra a tutto tondo nell’acqua che è icona di un luogo, la Sicilia, sua personalissima radice d’amore, e vi è in essa una identificazione che appiana il senso e la comprende abitante di una fiaba mentre … “il resto è sbocciare di una linea bianca / in faccia l’Africa mediterranea / una promessa impercettibile / la fioritura tra le rovine della casa” … fioritura che cammina tenendo per mano la voce del mare, il primo vagito, e finanche una stella da seguire tra i vicoli somiglianti dei giorni nei giorni del suo reinventarsi resistendo all’usura che scolora e così, in questo r-esistere, o r-esistersi, comporsi al di la e dentro il linguaggio del silenzio soggetto e oggetto di quotidiane rimembranze con tutte quelle angolazioni appartenenti per genesi al panorama femminile (l’isola è femmina), angolazioni ri-tratte con la cura del gesto quando si carezza il sogno nel reale fluire di un intimo costrutto sintattico di sua natura esistenziale ed essenziale in un quotidiano cosparso di richiami e narrative figurazioni andanti al cuore ineccepibile del canto con delicata ascendenza sonora.

la mattina
è una geografia essenziale
gli alberi in fila
il mondo
sul dorso di una tartaruga

e, ancora, tenendosi estatica attesa sulla soglia dell’iniziale bagliore, la Crapanzano contempla il giorno da quell’ora che sgorga quando tutto è un compiersi o un ripetersi mnemonico di azioni e comunanza di oggetti nella sintesi di un privata descrizione messa in scena con l’eleganza che ha il dire quando tutt’attorno ha la compostezza odorosa delle rose:

è un mattino involontario
fitto di rose
e un libro, la vastità
come un inconveniente da spiegare
una circostanza di parole
affacciomare

affacciomare è tutto e chi fiata dalle sponde lo ha sperimentato a modo. È il tutto che l’autrice con consapevolezza isolana immerge nel corpo della sua scrittura assecondando, senza nessuna omissione, il suo personale criterio di porgersi al lettore nello spaccato iconico di un mondo che la abita e che lei abita tra le pagine di una silloge trasudante di un ieri e di un tutt’oggi recipiente di umori, scogli e improvvisate notturne respirate a pieni polmoni nella quotidianità della sua scrittura. Rappresentazioni mentali ma non per questo meno reali di forme fatte di acqua e terra, di oggetti che diventano i personaggi di una raccolta che cerca la verità secolare e pur anche trascendente della memoria che si conserva indivisa dal quadro che la ha ideata.

la terra è tutta nelle spalle
protegge l’ombra del gelso
il verso della sedia contro l’albero
il girovagare lieve tra le gonne
che fa l’erba
quando sconfina troppo
la pelle che arriva dopo l’impazienza
per beatitudini condite
dove nessuno se le aspetta

e continua :

c’è una leggerezza di verde
tra la casa e il ciliegio – l’isola
che non c’è –
ha finestre d’aria
coleotteri disegnati alla ringhiera
a ricomporre un fiore

L’isola, che le è madre, l’isola che non c’è e che c’è.
O per meglio dire questa isola che è un sempre a cui tendere, a cui ri-tornare.

La Crapanzano dopo avere cucito, ma è solo un mio personale ricamo intuito nell’ascolto di lei, un io affamato di un cielo alto, leggero, libero sussurrato nella mescita dell’acqua con originalità e ricchezza di stile e visione, preserva il drappo dall’oblio inducendo a sé quei momenti antichi e senza interruzione nuovi ogni qualvolta lo stupore s’impone con delicata precisione nell’interstizio di un atto nostalgico come quando si ha sete del … “tempo tondo delle radici in cielo” …  e in tal modo si indica a un presente dove si custodisce e si fa seguito per la stagione a venire:

sono al riparo
dietro un filo di paglia
ricompongo ore
faccio scorte all’inverno
mi stella un seme d’oro

Una stagione, un seme d’oro, che è tutte le stagioni di uno scorso vissuto nel succedersi circolare di sfumature e odori di cui ne è nitida raffigurazione la casa, il suo nido custode sul rivolto del mare che, con il candore nello sguardo, Mirella riesce appieno a scandirne il tempo nell’affacciarsi essente tra quelle mura imbevute di dolcezza. Quella dolcezza che ruota nel suo interno emotivo entrato in punta di piedi e lasciato a porte aperte nel gesto generoso dell’accoglienza.

fa presto la memoria a definire
il contorno dei sogni, sbarcano linee
alla prima luce, riconciliano le ombre
e l’inquietudine alle code dei giorni
ritornano le voci, è mia madre che dice
sono dolci i giorni di consolazione
ho colorato i frutti di martorana
cucinato i biscotti, i pupiddi di zuccaru
ca mi cercanu l’occhi
bacche mature speziate per la festa
nei giorni dei morti, vedi, ci sono bancarelle
di calia, simenza e ciuri –
poi l’odore di cucina e miele che assapori
in bocca è un bignè alla ricotta
di quelli che piacciono a tuo padre –
e lui che mi sorride svanisce al sorgere del sole

Ancora una volta il poeta genera la voce nella voce, nel ricordo di uno spaccato familiare che è vivida tradizione, che è madre … “gocciola rossa in un campo di grano” … in uno svolgersi slacciato da formalismi strutturali che contiene e lascia germogliare … “il segno seme / che cresce nei ricordi” … con quella sua sensibilità fedele al termine che si fa scrittura corporea attraverso le silenziose istanze della notte con … “le mani ampie che insidiano la luna” … mani che si sperimentano in spazi autentici di fronte alla vita.
Con l’incanto della parola l’autrice in Terracqua ha dipinto l’eleganza di un ritratto non solo di se stessa, ma anche della terra sua natale percorrendo, con e nella scrittura, l’emozione che alita nel battito del polso avvenendosi sintesi e sentimento lungo tutto il paesaggio emozionale della sua storia, della storia di una donna che è lei con lei e in lei, che senza interruzione si procede intimamente legata alla verità dei luoghi che l’hanno partorita e delle persone che in quel parto l’hanno curata molto prima delle parole che poi vi s’addentrano e che ne sono primordiale essenza nella loro unicità. In tal modo si realizza essere questa la chiave dell’amore. Amore per se stessa, per il creato che l’avvolge, per la vita che la incontra nel passato e nel presente della sua famiglia, forse anche amore per una intima appartenenza a un segreto ricamato tra le righe del pensiero, e per l’acqua che riversa l’età della terra nella sfida al tempo avverando d’un sogno il soffio del silenzio.

mi tieni
nei segreti che scrivi
tra le cose distanti
e sai mancare

un vento larghissimo
ti scompiglia le mani
una disegna l’altra
e mi fai entrare
come una liberazione
una burrasca, il sale

*

sei la metà del mio mattino
quando le zagare fioriscono
siamo la quiete, l’esultanza
questo mare vicinissimo

*

a volte
è proprio questo il varco
il desiderio
lasciar colare il cielo
in prossimità delle tue mani

*

irrimediabili noi
come un esilio
di appartenenza

*

si accovaccia la sera
mentre sbuco dai vestiti
ed è come indossare
la tua bocca
rivestirmi in anticipo dell’alba

*

ad alcune parole
appartengo più di altre
che indugiano irrisolte
nella gola

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