IBELLO DELLA POESIA DICE 

Penso a queste parole di Milo De Angelis: “Forse la poesia è il sacro ferito dal suo dirsi, il sacro che incontra la spina della parola”. Per me la questione non è tanto definire la poesia (la poesia esiste perché esistere è nel suo destino), ma se la poesia può essere un’esperienza religiosa. Certo, è indubbio che le due esperienze – la vocazione al sacro e alla parola – hanno in comune la percezione dell’assoluto ed è altrettanto vero che la poesia s’intreccia con il nulla. Eppure, a prescindere dall’esperienza religiosa, penso che una lettura laica ed equidistante dei testi sacri sia in grado di nutrire la parola poetica e dialogare con l’assoluto. Questo, ovviamente, non ha nulla a che fare con “la medicina dell’anima”. Non c’è nulla di consolatorio nel tragico, nella sola evidenza che ci è data: il disfacimento. Nel Trattato dell’empietà (saggio edito da Adelphi nel 1987) Manlio Sgalambro prova a osservare freddamente Dio, e si sceglie come invisibili protettori quei grandi teologi dimenticati, come Suárez o Melchor Cano, che sapevano trattare di Dio con cupa professionalità. Il vero teologo è colui che osa sfidare Dio (che in poesia non può che essere dio) e, a mio sommesso avviso, questo proposito è senz’altro poetico (e tragico). Penso inoltre a quei passaggi biblici che rivelano il fine ultimo – se esiste un fine ultimo – della poesia e della parola: la veggenza. Mi riferisco a versi formidabili come questo: “Morte e vita sono in potere della lingua. Chi l’ama ne mangerà i frutti” (Proverbi 18:21). Inoltre l’apocalisse di Giovanni ha ispirato parte del mio percorso poetico (“Il mare restituì i morti che esso custodiva” – Apocalisse, 20:13). Nel mio poemetto inedito (ma, più in generale, nella mia modesta produzione degli ultimi mesi) i Dialoghi con Amin, al di là degli esiti, tento la via della “bestemmia” come sforzo ontologico. Sto tentando questa strada, non so se sarà feconda ma di certo “la poesia è il sacro che incontra la spina della parola”. Lo sa bene Alessandro Ceni, poeta strepitoso e visionario. Forse “Mattoni per l’altare del fuoco” è l’unica teogonia della poesia contemporanea.  

LA SUA POESIA CI DICE

*

Io sono Amin,
colui che restò nel noncanto.
La pietraluna che stringe
intime alleanze con il temporale.
Sono la vita sognata,
la spada rivolta alle piogge.
Baratri e gemme,
rovesci, sterpi,
acqua di sperma creatore.
Io sono Amin
e non ho mai conosciuto l’amore.
Rivelo la sintassi del crollo:
un urlo angelicato, non si muore.
Vita sempre sognata, mai vita.

*

utero incendio

Amin, il volo a trapezio dei cormorani è un alfabeto senza luna.

Avrai una stella di cenere sul fianco, uno stecco di mezzaluce.
Una spilla conficcata nel cuore di neve, la tua parola sarà l’inganno,
la Mesopotamia dell’invisibile: uno che batte furiosamente
il viola dei polsi sulla rena. Fermati, fermati primavera.

*

Torno allo stato embrionale della vita
nel sonno ibrido del feto,
dove un diagramma di materia nuova
riproduce fedelmente
il calco delle ossa
la nomenclatura delle vene
e un incavo d’ali nelle scapole.
Questa è la divinazione dei corpi.


DICONO DI LUI E DELLA SUA POESIA

Luigia Sorrentino sulla plaquette inedita “Dialoghi con Amin” (Premio Città di Fiumicino 2018). Articolo uscito sul blog di poesia della Rai il 28 febbraio 2020. http://poesia.blog.rainews.it/2020/02/giovanni-ibello-dialoghi-con-amin/

Il cifrario della poesia di Ibello è uno Yucatan, inteso come luogo irraggiungibile e impenetrabile, che però, alla fine, trova nella cancellazione la tenerezza della visione: “Troveremo il dio delle cose lontane, troveremo una foresta di spine nel buio oltremare.” Ecco che la voce del reietto si fa espressione di una mutazione creaturale e lascia intravedere “un rammendo di secondi luce” che lenisce le ustioni provocate dalla violenza dell’esperienza terrena. Versi che rivelano che la speranza nasce dai disperati, dagli abbandonati: saranno loro a trovare “un altrove di spine e diademi”.

Francesco Tomada, postfazione Turbative siderali.

Viene davvero difficile, leggendo Turbative siderali di Giovanni Ibello, pensare che si tratti di una raccolta d’esordio. Giovanni possiede la nitida coscienza che le parole non vanno spese a caso, sono preziose, e dunque possono essere fissate sulla carta soltanto dopo averne compreso appieno tutto il valore. Prende corpo dunque un linguaggio che vive nella tensione degli opposti, sospeso fra gli angoli acuti dell’asprezza e i momenti in cui invece la dolcezza si fa estrema e totalizzante, un linguaggio che scava in questa terra di nessuno con l’intenzione di renderla una terra nostra dove cercare una possibile realizzazione.

Alessandro Bellasio su “La balena bianca”, articolo pubblicato il 7 novembre 2017.

E proprio lo sguardo che Ibello riserva al mondo naturale, con le sue tinte accese e la crudezza delle immagini, è emblematico della poetica dell’autore, e ci riporta alla mente alcuni esiti del primo Gottfried Benn, quello di Morgue, per intenderci. I fiori, gli alberi, e soprattutto i numerosi animali di questa poesia, sono tutti attraversati da un grido, sono abitati da una forza distruttrice. Sono animali mutilati, corrosi, presi per sempre nello stesso turbine rovinoso che trascina con sé gli esseri umani, e ne sono anzi la prefigurazione. 


IBELLO E I POETI “INFLUENCERS”

Dylan Thomas, Alessandro Ceni, Milo De Angelis, Paul Celan, Jolanda Insana, René Char, Osip Mandel’štam, Ivano Ferrari, Leopoldo Maria Panero. Nove formidabili muse.



Giovanni Ibello
 (Napoli, 1989) pubblica il suo primo libro nel 2017, Turbative Siderali (Terra d’Ulivi edizioni, con una postfazione di Francesco Tomada). Nello stesso anno l’opera vince il “Premio internazionale di letteratura Città di Como” come Opera Prima, risulta finalista al “Premio Ponte di Legno Poesia”, al “Premio Poesia Città di Fiumicino” (come Opera Prima) e al “Premio Camaiore Proposta – Vittorio Grotti”. Nel 2020 vince il Premio dell’Osservatorio letterario permanente della fondazione Lermontov.  È direttore della rivista «Atelier» (sezione online) e collabora con il blog di poesia della Rai di Luigia Sorrentino in qualità di traduttore. E’ curatore dei contenuti del profilo instagram “Rai Poesia”. I suoi versi sono stati tradotti in sei lingue tra riviste, blog e volumi antologici di poeti italiani all’estero. Nel 2018 vince il “Premio Poesia Città di Fiumicino” per la sezione “opera inedita” con il poemetto “Dialoghi con Amin” (stampato poi in una plaquette fuori commercio dallo stesso comitato organizzativo del premio). Nel 2020 una sua antologia poetica viene selezionata e pubblicata in Russia dall’editore Igor Ulangin per la collana “Contemporary italian poetry” diretta dal critico Paolo Galvagni (traduzioni a cura di Tatiana Grauz).
Foto di Dino Ignani